Perché il gasdotto politico di Putin già s'affloscia in Turchia
Roma. Il Turkish Stream è già fermo al palo. L'ambizioso progetto per il gasdotto tra Russia e Turchia si sta affievolendo sotto i colpi di una diatriba diplomatica. Una querelle a distanza. Il ministro turco dell'Energia, Taner Yildiz, ha accusato Mosca dei ritardi nei lavori per il tubo, denunciando carenze nella costruzione della parte off-shore. I russi hanno risposto piccati, sostenendo come tutto sia fermo, causa la ratifica degli accordi di programma da parte di Ankara, che non può avvenire finché non si formerà il nuovo esecutivo.
Il vero problema, però, riguarda la richiesta turca di uno sconto sul prezzo del gas (meno 10,25 per cento rispetto alla quotazione ufficiale) che la Russia dovrebbe concedere. Ma, la gelida risposta del Cremlino ha per ora bloccato i colloqui. L'impasse coinvolge direttamente il presidente russo Putin e il premier turco Erdogan, che dovrebbero incontrarsi in autunno per sbloccare la vicenda. Intanto, sembrano essersi avverati i moniti pronunciati qualche giorno fa dal ministro russo all'energia, Alexander Novak, che aveva definito il gasdotto come un progetto difficilmente realizzabile, in mancanza di un accordo intergovernativo tra le parti. Pesano le difficoltà russe.
La produzione di Gazprom – come confermano i dati del ministero dell'energia russo – è ai minimi storici, fermandosi a 414 miliardi di metri cubi rispetto ai 444 dell'anno precedente. Stando alle stime di Société Générale, il prezzo di esportazione del gas di Mosca è infatti crollato negli ultimi mesi, soprattutto in Europa, a causa dell'indicizzazione al Brent che Gazprom intende mantenere. C'è poi il fardello dell'inchiesta dell'Antitrust europeo per abuso di posizione dominante che ha colpito il colosso energetico. Questo costringe il gruppo – che ha ceduto ai giapponesi di Toyota il primo posto nella recente classifica di Ricerca e sviluppo Mediobanca sulle multinazionali industriali – ha cambiare le politiche contrattuali, scatenando però ferventi reazioni geopolitiche.
[**Video_box_2**]Non c'è solo il caso turco. Altrettanto critica è la procedura di arbitraggio che Mosca ha attivato per chiedere una riduzione del prezzo del gas importato dal Turkmenistan. Il governo di Ashbagat non l'ha presa bene ed ha ufficialmente dichiarato Gazprom insolvente, accusandola di non pagare i debiti contratti con la società pubblica Turkmengaz. Se si è fermato il TurkStream, traballa, sotto le difficoltà finanziarie di Gazprom, anche l'accordo per la fornitura di gas tra Russia e Cina, attraverso il tragitto occidentale del gasdotto Siberia-2. Pechino e Mosca hanno firmato, per adesso, solo un accordo di base e, nonostante le rassicurazioni del portavoce di Putin, Dimitry Peskov, mancano ancora molti dettagli per il closing finale.
Secondo Valery Nesterov, analista della banca russa Sberbank, la Cina ora potrebbe essere meno attratta dal gas russo, a causa del netto calo della domanda energetica interna e dall'aumentata disponibilità di gas naturale liquefatto dall'Australia, che ha prezzi più bassi di quelli russi. Intanto, lo stop al tubo con la Turchia è un altro brutto colpo anche per l'italiana Saipem. La controllata di Eni aveva già posizionato le proprie navi posacavi per avviare la costruzione delle prime tratte offshore del Turkish Stream. Al progetto si era detta interessata anche Intesa Sanpaolo mentre, per coprire una parte delle difficoltà finanziarie di Gazprom, qualche settimana fa Unicredit Bank Austria ha concesso un prestito di 390 milioni di euro.