Il rischio di liberare i “ratti” cinesi per conservare consenso
Il branco ha liberato i ratti. Così si può descrivere il comportamento della Banca centrale cinese che ha deciso di far fluttuare il cambio, secondo la regola – che le è stata prescritta dal Fondo monetario internazionale – secondo cui il prezzo dello yuan, la moneta nazionale, va fissato sulla base della quotazione della chiusura delle seduta precedente e, poi, va lasciato andare su e giù in una banda del 2 per cento. Il branco, secondo le regole bio-antropolgiche universali del modello dell’economista Gordon Tullock, in questo caso è il governo di Pechino, che s’identifica in gran parte con il Partito e ha un suo capo branco costituito dal vertice del governo e del Partito stesso. Ma nel branco K – ossia le vacche nell’equazione di Tullock – accanto al capo branco, che sta al vertice con un gruppo gerarchicamente superiore, ci sono anche i leader, che guidano i diversi comportamenti. Come per esempio uscire dalla stalla per andare al pascolo e rientrare; andare ad abbeverarsi; fuggire di fronte a una minaccia; scegliere un diverso pascolo.
I leader sono più d’uno, perché ciascuno guida un dato gruppo di comportamenti. E di solito non hanno un potere dominante. Possono certo entrare in conflitto con altri leader, ma alla fine decide il vertice. E’ ciò che sta accadendo in Cina, in relazione alla nuova fluttuazione dello yuan. Sino ad ora la regola del riferimento al livello di chiusura con margine di variazione del 2 per cento non veniva rispetta. La Banca centrale ha deciso di smettere questa prassi e ha lasciato liberi i singoli operatori economici, i ratti – ossia R, secondo Tullock – di scegliere se comprare o vendere titoli in yuan. I ratti cinesi hanno un iper-individualismo che li spinge a scegliere, egoisticamente, ciò che a loro conviene, senza curarsi dell’effetto generale. Hanno reagito vendendo i titoli cinesi, la cui quotazione è stata gonfiata dalla bolla speculativa. Lo yuan ha perso, in un seduta, il 2 per cento. La Banca centrale ha proseguito nella osservanza della regola di fissare il cambio rispettando ciò che era stato deciso dagli operatori individuali. E il giorno dopo, c’è stata ancora una scivolata del 2 per cento perché i ratti continuano a fuggire. Vedono che lo yuan scende e non vogliono perdere l’occasione di liberarsi di titoli cinesi in eccesso.
[**Video_box_2**]In questo modo la Banca ubbidisce alla regola di liberalizzazione valutaria che il Fmi le ha prescritto come requisito per consentire allo yuan di far parte delle sue valute di riserva, assieme a dollari, euro, sterlina e yen. Pechino non vede l’ora d’entrare nel sistema monetario mondiale accanto agli Stati Uniti per condizionarli dall’alto della propria riserva di dollari. D’altra parte, la svalutazione di 4 punti, in due giorni, dello yuan fa il gioco del vertice del branco K. Il ministero del Commercio estero punta su una svalutazione del 10 per cento allo scopo di rilanciare l’export cinese, come motore della crescita. Il governo ha accolto parzialmente questa richiesta per centrare l’obiettivo del 7 per cento di crescita nel 2015, diversamente non raggiungibile. Sembra paradossale che per agevolare la crescita il capo del branco faccia un passo avanti fondamentale nello smantellamento del controllo dei cambi, lasciando più liberi i ratti che essondo molti farà parecchia fatica a controllare, come dimostra la bolla borsistica. Ma non è un paradosso: è un gioco politico che segue una legge di natura. Le dosi crescenti di economia capitalista, il Partito comunista cinese le ha costantemente giustificate con l’esigenza di sostenere la crescita, che è lo scopo e il mezzo per controllare economia e società. La crescita dà benessere al branco e giustifica il potere del capo. Essa però ora dovrebbe essere indirizzata alla domanda interna, dato che il surplus commerciale genera occupazione, ma non sufficiente benessere. Il vertice del branco così vuole una via di mezzo. Ma si è aizzata la competizione fra monete a svalutarsi. E controllare i ratti è più difficile.