La signora del debito
Milano. Anne Krueger è stata, prima dell’arrivo di Christine Lagarde, la donna che ha ricoperto la più alta carica al Fondo monetario internazionale (Fmi), cioè quella di vicedirettore generale. In quella veste, l’arzilla economista, 67 anni all’epoca, riuscì a scandalizzare il gotha della finanza: l’unico modo per dare un futuro finanziario all’Argentina – era la sua tesi – consisteva nel cancellare il suo debito e così consentire la ripresa. “Non bisogna essere uno scienziato nucleare per capirlo – commenta oggi, a 81 anni, tra una conferenza in America, una consulenza all’Islanda e un’altra a Puerto Rico – Quando il debito di un paese diventa così alto da compromettere le sue prospettive di crescita, occorre ripensare il modo per assistere quel debitore”. Nel 2001, quella tesi costò a miss Krueger, raccomandata da George Bush, una severa censura da parte delle lobby di Washington e della finanza europea. Oggi madame Lagarde, direttore generale del Fmi, sembra interessata a riabilitare il pensiero di miss Krueger: inutile pensare a un piano di salvataggio, il terzo, della Grecia senza affrontare il nodo del debito accumulato da Atene. E lo stesso vale, in altre forme, per le altre vittime del debito: Argentina, Puerto Rico, Venezuela e, più urgente, l’Ucraina, assieme ad Atene, l’altra spina del Ferragosto. Mercoledì s’è conclusa a San Francisco, con un assoluto insuccesso, la trattativa tra Kiev e i creditori privati, capitanati da Franklin Templeton, colosso dell’asset managment. L’Ucraina, spalleggiata dal Fmi, che ha garantito 17,5 miliardi al grande nemico di Putin, chiede un taglio di almeno il 40 per cento sui debiti accumulati con la finanza americana (9 miliardi di dollari).
I creditori dell’Ucraina hanno risposto ancora una volta picche all’ipotesi di taglio del debito. Al limite, si può pensare di allungare le scadenze. Intanto, sottoposta a una dieta di austerità prescritta dagli economisti del Fmi, l’economia di Kiev precipita. Non inganni il miglioramento della bilancia commerciale, frutto del taglio delle importazioni, mentre l’export segna il passo. Gli argomenti dei creditori di Kiev ricordano da vicino le tesi che sostengono da sempre Angela Merkel e Wolfgang Schäuble a proposito della Grecia: si può pensare a un ulteriore allungamento delle scadenze del debito o a un nuovo taglio degli interessi in modo da rendere il fardello meno pesante. Ma la cancellazione è tabù. Un po’ perché l’operazione va contro lo statuto della Banca centrale europea, molto perché suona davvero estranea alla mentalità tedesca, paese in cui, si sa, “debito” e “colpa” si dicono allo stesso modo. Ma stavolta Madame Lagarde vuole tenere duro. Nel momento più delicato della crisi con Atene, quando ha preso consistenza il rischio di Grexit, il direttore generale ha autorizzato la divulgazione di uno studio del Fmi in cui si faceva esplicito cenno alla necessità di un robusto nuovo finanziamento per Atene accompagnato da una profonda revisione del debito. Già nel 2013 il Fmi aveva fatto una convinta autocritica sulla strategia tenuta dalla troika in Grecia. Ma stavolta lo strappo è apparso più profondo e, per certi versi, sorprendente. Pochi avrebbero pensato che Lagarde, avvocato negli Stati Uniti prima della chiamata di Nicolas Sarkozy, si sarebbe opposta con tanta veemenza a Francia e Germania, azioniste del Fmi con il 10 per cento ciascuno.
[**Video_box_2**]Anche perché tra pochi mesi si deciderà se rinnovare o meno il mandato del direttore generale. Ma forse è questa l’origine delle inquietudini di Lagarde, duramente contestata, assieme al suo predecessore Dominique Strauss-Kahn, per aver investito quattrini (oggi ancora a rischio) in Grecia. “Ad Atene – dice al Financial Times l’economista indiano Ashoka Modi che ha a lungo lavorato al Fmi – il Fondo ha dato il peggio di sé. In più non capisco la logica della sua attuale politica: la Grecia deve ancora al Fmi circa 20 miliardi, di cui 3,5 miliardi da restituire quest’anno. Per coerenza, dovrebbe cancellare per primo il debito. O no?”. Probabilmente no, una mossa del genere farebbe infuriare i paesi emergenti che invocano un cambio di rotta del Fmi, troppo eurocentrico, troppo occidentale. Un quadro in cui Lagarde potrebbe giocare il jolly: la Cina. Il Fmi ha sostenuto con enfasi la tesi delle colombe a proposito della triplice svalutazione dello yuan di questi giorni: non è l’incipit di una guerra valutaria ma la risposta positiva alle richieste del Fmi per ammettere lo yuan nel club delle valute che compongono i diritti speciali di prelievo. Entro pochi mesi si dovrà decidere il nuovo mix del paniere, uno degli obiettivi cui tiene di più Xi Jingping. Pechino potrebbe dimostrare riconoscenza se Lagarde si spenderà per un voto a suo favore. Del resto, l’andamento delle Borse di questi giorni dimostra che la Cina pesa assai di più della Grecia. N’est-ce-pas?