I fantasmi del mercato e le lobby (fantasma) di Bruxelles
Continua la serie del Foglio.it sui docufilm italiani e internazionali che hanno per protagoniste le evoluzioni spesso imprevedibili della nostra economia. Dall'high frequency trading alle lobby europee, ecco altre due pellicole per capire la crisi restando seduti in poltrona.
Il 6 maggio 2010, nell’arco di pochi minuti, tra le 14:42 e le 15:07 ora locale di New York, l'indice Dow Jones arriva a perdere oltre il 9 per cento. Nessun evento o fatto di cronaca sembra poter giustificare il tonfo del listino americano. La giornata verrà ricordata come un “flash crash” o “crollo improvviso”. Qualcosa di molto strano accade anche il 18 maggio 2012 quando, durante il lancio della quotazione di Facebook, il prezzo delle azioni sembra impazzito fino a toccare i 4.000 dollari per azione, per poi tornare al livello fissato per il lancio. In entrambi i casi qualcosa non ha funzionato correttamente nei sofisticati software che gestiscono le transazioni. Scordatevi l'immagine, forse un po' romantica, delle sale di contrattazione caotiche e piene di uomini che urlano tra di loro mentre si scambiano gesti in codice.
La quasi totalità delle transazioni finanziarie, infatti, oggi viene gestita in modo automatico da algoritmi che dovrebbero garantire maggiore efficienza e minori costi degli scambi. Quando qualcosa va storto però tutto il sistema va in tilt con conseguenze impossibili da prevedere. Operazioni eseguite in frazioni di secondo ad una velocità che non consente all'essere umano di monitorarle, quasi fossero scambi fantasma di cui è difficile seguire le tracce. “Ghost exchange” è infatti il titolo del docufilm del 2013 che indaga i rischi e le l'opportunità dell’high frequency trading (HFT). L’innovazione tecnologica ha stravolto il modo in cui vengono effettuati gli scambi di borsa, che ora più che mai, si basa su una complessità che sfugge persino alla maggior parte degli addetti ai lavori. Un tale livello di sofisticazione, comprensibile soltanto ai migliori laureati in matematica e ingegneria, ha generato un’enorme diffidenza da parte di molti tra investitori e operatori. Così, al dicembre del 2012, oltre 300 miliardi di dollari sono stati ritirati da investitori che hanno iniziato a percepire le borse sempre più come pericolosi casinò. Il documentario è disponibile sottotitolato in inglese.
Potrebbe sembrare la realizzazione di uno scenario di fantascienza in cui l’azione umana diventa pressoché marginale. Niente affatto. L’azione umana può essere determinante e molto incisiva, a patto però che sia altamente organizzata e coordinata. Non solo in formazioni politiche, ma anche in lobbies. Ci spostiamo in Europa, a Bruxelles per conoscere meglio i rapporti tra le istituzioni europee e i grandi gruppi industriali rappresentati dalle loro lobbies. Immagini nitide, dominate da blu freddi e architetture anonime aprono il docufilm “The Brussels business”. Con toni equilibrati, il regista viennese Friedrich Moser e il belga Matthieu Lietaert danno voce a due prospettive opposte sulle istituzioni europee che regolano i mercati e governano l'economia. Nessun populismo, nessun riferimento vago o dietrologia complottista, bensì nomi e cognomi, fatti e date. Per farsi un’idea. Da una parte Pascal Kerneis, rappresentante dello European Services Forum (ESF) e principale interprete della visione della lobby del settore dei servizi. Dall’altra, non da solo, Olivier Hoedeman, membro del Corporate European Observatory (CEO) e attivista che sostiene invece il punto di vista dei cittadini europei e delle organizzazioni non governative (Ong).
[**Video_box_2**]Tema centrale non è la legittimità delle lobby in quanto tali, ma il problema della trasparenza dei loro fini e dei loro mezzi. Il documentario, prodotto nel 2012, getta uno sguardo su un mondo parallelo alle istituzioni: quello delle lobbies a Bruxelles. Non lo fa sulla base di congetture o ipotesi, ma lasciando parlare in prima persona sia i lobbisti sia gli attivisti, senza demonizzare né gli uni né gli altri. Un’occasione preziosa per conoscere protagonisti ai quali i media danno poca o nessuna visibilità, se non per inculacare tesi già confezionate. Del resto non è un caso che la stessa distribuzione dei documentari qui proposti non sia molto ampia, il loro reperimento non sempre facilissimo e siano spesso disponibili soltanto in inglese sottotitolati. "The Brussels business" è uno di questi. Buona visione.