La ripresa è di casa
Roma. Non c’è solo l’obiettivo di ridurre una pressione fiscale generale al 43,5 per cento del pil, 1,7 punti sopra la media dell’Unione europea; né la caccia al consenso in vista delle elezioni. Tutto questo nel piano di Matteo Renzi di abolire “per tutti” le imposte sulla prima casa, la Tasi, nonché l’Imu agricola e sui capannoni, certo esiste, e lo dimostrano i toni coi i quali il premier lo ha ripetuto a Rimini; ma a palazzo Chigi si ragiona anche in chiave strategica, intorno a un settore – l’edilizia – che in passato è sempre stato trainante per l’economia e che negli ultimi anni è diventato abbandonato a se stesso, con una perdita di 800 mila posti di lavoro e una tassazione vessatoria e caotica. Ben diversamente dai tre paesi che stanno uscendo meglio dalla crisi: Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania. L’ultimo dato americano, pubblicato ieri dal Wall Street Journal in un’analisi che dimostra come “i fondamentali domestici siano in grado di reggere alle tempeste finanziarie attuali finanziari”, mette al centro proprio l’indice di fiducia della National association of home builder, l’associazione dei costruttori: ai massimi dal novembre 2005.
Nonostante la crisi dei mutui subprime del 2007-2008, né la politica di Washington e dei singoli stati, né la finanza, hanno mai voltato le spalle ad un settore chiave per imprese e famiglie, che dà lavoro a un quinto degli occupati, accontenta i contribuenti e rinnova lo skyline delle città. Già nel 2010 l’Amministrazione Obama, sotto la spinta di governatori e parlamentari democratici e repubblicani, ha approvato un piano di ammodernamento degli edifici residenziali (Home Star) e commerciali (Building Star), dando ai privati da 1.500 a 3 mila dollari di incentivi e creando nel solo primo anno 333 mila nuovi posti di lavoro. Mentre l’importantissimo indice delle vendite di nuove case è cresciuto mensilmente al ritmo di 25-30 mila addetti. Tutto questo ha tra l’altro dato slancio al crowfunding immobiliare, che raccoglie soldi tanto tra le famiglie quanto tra i grandi gruppi, che nel 2015 ha toccato il culmine diventando il primo settore tra i fondi aperti. I nomi stuzzicano immaginazione e portafogli, Prodigy Network, Realty Mogul, Fundrise, iFunding, Money 360, Asset Avenue: finalizzati a progetti privati, dove non arrivano la mano pubblica e gli studi internazionali, in genere locali, dalla costruzione di alberghi o supermercati alla riqualificazione di villette, e se non mancano i miliardari si può salire a bordo con 5 mila dollari.
In attesa del Piano Juncker o similia
[**Video_box_2**]Anche il governo inglese di David Cameron ha approvato una riforma per dare alla gente comune la possibilità di investire negli immobili, carissimi soprattutto a Londra: a 55 anni di età si potranno ritirare i contributi previdenziali versati con uno sconto di tasse del 25 per cento, per spenderli sia in consumi sia in immobili (con ulteriori agevolazioni se nella madrepatria, per limitare la corsa al buen retiro fiscale alle Canarie o alle Azzorre). Misura fortemente contestata dal Labour in quanto lesiva della stabilità del sistema previdenziale pubblico. Inoltre i conservatori hanno lanciato il programma “Help to buy”: prestiti fino al 95 per cento del valore degli immobili e contributo statale del 20, per l'acquisto di abitazioni fino a 600 mila sterline. Anche qui le critiche sul rischio bolla si sono sprecate; ma intanto il settore vive una ripresa stimata nel 10 per cento. E perfino in Germania dove la proprietà della casa non è mai stata un’abitudine delle famiglie, l’ultimo e positivo indice Ifo sulla fiducia delle aziende mette al top le costruzioni, le cui aspettative positive sono le più alte dal marzo 2014 con prospettive di crescita ulteriore. Perché paesi così diversi puntano sul mattone? In attesa degli investimenti pubblici co-finanziati dall’Europa, la risposta è semplice: per impiantare una fabbrica occorrono anni, per un cantiere o per ristrutturare un appartamento bastano poche settimane. La manodopera ha il massimo di mobilità. E l’indotto va dal cemento alla plastica, dall’elettronica all'arredamento, ai ponteggi, ai trasporti. Impossibile però con una tassazione sulla casa che qui nel 2014 ha raggiunto i 26 miliardi, il 60 per cento più che nel 2011. E oltre il doppio della media europea.