Il premier cinese Li Keqiang con la presidentessa del Brasile, Dilma Rouseff

Perché il crollo cinese (e non solo quello) crea guai seri all'economia del Brasile

Maurizio Stefanini
La presidentessa Dilma Rousseff parla di un “effetto Cina” nel paese, con il bilancio in rosso e la diminuzione della domanda interna. E poi c’è la solita corruzione

Sarà il Brasile il primo tra i Brics a venir giù per effetto del contagio cinese? Dal Wall Street Journal all’Economist, lo scenario è paventato dalla gran parte dei media di riferimento nel mondo della finanza internazionale. Sono giornali spesso accusati di obbedire a interessi non sempre confessabili e la presidentessa argentina Cristina Kirchner ipotizza scenari complottisti. Ma la diretta interessata, la presidentessa brasiliana Dilma Rousseff, ammette e conferma. “Avremo un ‘effetto Cina’ molto accelerato. Tutti pensano che si tratti di commodities ma non è solo questo”, ha detto in un’intervista. “Spero in una situazione migliore per l’anno prossimo, ma non posso garantire che vedremo meraviglie, perché non sarà così”.

 

Settembre inizia con due notizie che confermano come ‘l’effetto Cina’ stia rapidamente trasformandosi in ‘effetto Brasile’. Da una parte, per la prima volta nella storia del Brasile il governo ha presentato al Congresso per il 2016 un progetto di bilancio nazionale che prevede un deficit di 8,5 miliardi di dollari, pari allo 0,5 per cento del pil. “Dato lo scenario”, cioè con il crollo cinese, hanno riconosciuto il ministro della Pianificazione Nelson Barbosa e quello dell’Economia  Joaquim Levy in una conferenza stampa, è divenuto impossibile l’obiettivo di 9,392 miliardi di attivo originariamente programmato. Per compensare, si era pensato in un primo momento di introdurre un’imposta sui movimenti dei conti bancari, ma a parte le associazioni imprenditoriali anche gli alleati di governo del Partito dei lavoratori (Pt) hanno fatto resistenza, e il governo ha rinunciato. Dall’altra, la General Motors argentina ha annunciato che a settembre i suoi stabilimenti saranno chiusi per quattro giorni, proprio in conseguenza del crollo della domanda brasiliana. Da sei mesi il Brasile è in una recessione che è arrivata all’1,9 per cento del pil.

 

La Cina è la prima destinazione dell’export brasiliano, il 17 per cento del totale: le prime voci sono quelle del ferro, del petrolio, della soia, dello zucchero, del pollame. Nel contempo, la Cina è un’importante fonte di capitali, e quando a maggio Li Keqiang venne in visita promise 50 miliardi di dollari solo per aiutare l’organizzazione delle Olimpiadi di Rio. Ma al di là della Cina, l’economia brasiliana soffriva già di altri malanni che venivano più da lontano e che si sono tradotti in un marcato calo degli investimenti. Il meno 1,9 ha però sorpreso gli analisti, che non si aspettavano più dell’1,7 per cento di calo del pil. I problemi economici sono poi peggiorati per la debolezza della leadership politica, con un indice di popolarità della presidentessa pari ad appena l’8 per cento. Gli scandali imperversano, dal mensalão al petrolão. E le proteste popolari si susseguono. Il 16 agosto nelle piazze di 250 città sono scesi 870.000 brasiliani secondo la polizia, 2 milioni secondo gli organizzatori, ma comunque molto più dei 73.000 che la sinistra è riuscita a raccogliere nella contromanifestazione del 19 agosto.

 

[**Video_box_2**]Da ultimo, l’ex-presidente Lula ha annunciato che proverà a scendere in campo lui nel 2018, per bloccare l’avanzata del centro-destra e compensare la debolezza di Dilma. Ma subito dopo, la rivista Epoca lo ha accusato di aver usato la sua influenza per mediare affari poco chiari a Cuba facendo gli interessi del colosso di costruzioni Odebrecht e in Congresso è stata chiesta la sua incriminazione.  “Pixuleco” è stato ribattezzato il pupazzo gonfiabile alto 12 metri che è apparso nelle manifestazioni del 16 agosto, e in cui Lula appare con un vestito a strisce e una targhetta numerata al petto stile Bassotti. Il termine viene da pixulé, espressione gergale per indicare una piccola somma e già usata dall’ex-segretario delle Finanze del Pt, João Vaccari Neto, per chiedere mazzette per conto del partito. Anche lui è finito in galera.

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