Non solo umanitarismo. In Germania avanza un dibattito economico sui rifugiati
Roma. Ieri a Budapest una stazione ferroviaria è stata chiusa temporaneamente dopo che era stata presa d’assalto da circa duemila immigrati che tentavano di salire su un treno per lasciare l’Ungheria. “Germania, Germania”, hanno continuato a urlare gli immigrati di fronte al cordone di polizia. E’ quella infatti la destinazione preferita da migliaia di persone che stanno percorrendo la nuova rotta balcanica per entrare in Europa. Specialmente dopo che la cancelliera tedesca, Angela Merkel, nell’ultima settimana di agosto ha deciso la sospensione del regolamento di Dublino per i rifugiati provenienti dalla Siria.
Berlino si è mossa in tal senso per ragioni umanitarie, e anche per pragmatismo se consideriamo la simultanea battaglia diplomatica per ridurre il flusso di richiedenti asilo dai Balcani. La novità, adesso, è che dal dibattito pubblico non vengono espunti ragionamenti sull’impatto economico. Sì, anche dei rifugiati. Ieri Mark Schieritz, columnist economico della Zeit, si è chiesto per esempio se non possa arrivare una spinta all’economia attraverso l’afflusso di rifugiati. Schieritz promette ulteriori approfondimenti, intanto ha iniziato ragionando sugli impatti di “breve termine”.
Tutto ruota attorno alle sue stime sui costi dell’accoglienza: se il Land di Berlino calcola 12 mila euro per vitto e alloggio di ogni rifugiato, per gli 800.000 richiedenti per quest’anno il giornalista stima 4,9 miliardi di euro di spesa in più, lo 0,17 per cento del pil tedesco. Risorse che non dovrebbero venire da tagli ad altre voci di spesa, ma dal surplus di bilancio che la rigorosa Berlino sta già accumulando. Sommando le spese aggiuntive per i minori, e poco altro, e nell’ipotesi semplicistica di un moltiplicatore fiscale pari a uno, ecco uno stimolo positivo al pil dello 0,2 per cento. I rifugiati per i primi due anni di permanenza verosimilmente non lavoreranno, dopodiché tutti i calcoli cambieranno in base a come funzionerà l’integrazione degli stessi nel mercato del lavoro. A quel punto Schieritz non esclude effetti deflattivi sui salari, ma subito rinvia a una prossima puntata di approfondimento. In Germania si è aperto un dibattito ben poco moralistico. Da seguire, e da imitare.