Chi è il trader francese che mette ko i signori del petrolio
Milano. Gli appassionati di arti marziali che il 6 novembre prossimo accorreranno al torneo di kickboxing organizzato a Monza dalla Glory di Singapore noteranno a bordo ring un signore elegante, fisico asciutto e spalle da atleta. Nessuno, probabilmente, saprà di trovarsi di fronte l’uomo che promette di mettere al tappeto gli oil men texani, i petrolieri di Caracas e lo stesso Vladimir Putin, campione di judo, ma anche uomo di stato in bolletta visto il tracollo delle entrate da greggio. Sono loro le vittime di Pierre Andurand, classe 1977, da Aix en Provence, campione di nuoto in gioventù, oggi proprietario per gioco di uno dei circuiti più importanti delle arti marziali. Ma, soprattutto, a capo di Andurand Capital, uno degli hedge fund più famosi e fortunati attivi nelle materie prime, che ha alle spalle un guadagno superiore al 50 per cento nel 2014, frutto della scommessa al ribasso sulle quotazioni del greggio. E non è finita: “Ci vorrà tempo perché possa cambiare il quadro di fondo – dice al Financial Times – Sul mercato ci sarà comunque un surplus di offerta per tutto il 2016 e per il 2017. I prezzi bassi sono l’unico modo efficace per riequilibrare il rapporto tra domanda e offerta. Ma ci vorrà tempo. E pazienza”. La previsione? “I prezzi scenderanno ancora. Penso che il Wti, il greggio americano, debba perdere ancora 20 dollari al barile fino a 25 dollari. Il Brent europeo si fermerà un po’ più in alto. Attorno ai 30 dollari. Ma sarà un mercato molto volatile, oscillerà in un corridoio tra i 25 e i 50 dollari. Se i prezzi si assesteranno nella fascia alta per i prossimi due anni, come penso, i petrolieri Usa continueranno a difendere le loro posizioni”.
Al massimo, continua, lo shale oil ridurrà la produzione di 200 mila barili al giorno, troppo poco per incidere sull’offerta globale che resterà più alta della domanda, a meno che qualche produttore dentro o fuori l’Opec non decida di tagliare sul serio. Ipotesi improbabile. “Non c’era e non c’è nulla di nuovo all’orizzonte”, dice Andurand. Si profilano tempi di magra per i flussi di greggio. Ma non dei capitali che affluiscono copiosi alla sede di Andurand Capital, elegante palazzo londinese di fronte alla sede di Harrod’s, meta obbligata per lo shopping di sceicchi e famiglia. Non è il caso perché la maggioranza dei clienti che hanno fatto affluire (con profitti) 575 milioni di sterline nelle gestioni di Andurand viene dal medio oriente. Tra un guadagno e l’altro sul ribasso del greggio, gli investitori visitano volentieri la sala operativa da mille e una notte: centinaia di pesci tropicali in enormi vasche che s’insinuano tra i terminali collegati coi mercati delle commodity. Come piace a monsieur Andurand, provenzale di nascita, all’età di otto anni emigrato con la famiglia sull’isola della Réunion. A 17 anni rientra in Francia per diventare uno studente modello, prima a Tolosa, poi alla scuola di Hautes Etudes parigina. L’esordio, precoce, nel mondo del grande business avviene sotto le insegne di Goldman Sachs che lo arruola a Singapore. Di lì a Bank of America il passo è tanto breve quanto spericolato. E sfortunato. Nel 2003, a 26 anni, la squadra diretta dal trader prodigio punta forte sul rialzo della benzina per l’aviazione confidando nel boom cinese: lo scoppio della febbre asiatica, con il contemporaneo crollo dei voli, si traduce in una perdita di 89 milioni di dollari. Ci vuole altro per piegare monsieur Pierre. A meno di trent’anni entra in Vitol, discreto ma potente trader elvetico. E fa centro: un suo deal vale 200 milioni di dollari di guadagno per la ditta che lo ripaga con un bonus di 20 milioni.
[**Video_box_2**]Niente male per un ragazzo, ma Andurand decide che la gavetta è finita. Nel 2008 nasce il suo primo hedge, Blue Gold. In tempo per cavalcare la grande stagione della recessione post Lehman. E’ un trionfo, anche se non tutte le operazioni riusciranno così bene. Ma attenzione: Andurand non è un giocatore d’azzardo. E’ abile nel gioco dei derivati, si copre, ha informazioni da insider, e naviga nel settore da anni, nelle banche d’affari che hanno innescato i rialzi dei prezzi nel 2012-2013 favorendo la crescita dell’estrazione degli idrocarburi più difficili da prelevare (shale oil, sabbie bituminose, rocce artiche). Un gioco che ha provocato il boom dell’offerta che ha spiazzato la Russia e che l’Arabia Saudita fatica a domare. Con buona pace delle profezie sulla scarsità di greggio in voga anni fa.