Volkswagen truffa i consumatori? Don't worry, arrivano i nostri
"E’ come se qualcuno mi avesse ingannato. E io sono una persona amica dell’ambiente”, ha detto Laurie Cleveland, insegnante 54enne di Lowville, nello stato di New York, intervistata dal Wall Street Journal in quanto acquirente da oltre un decennio di automobili Volkswagen con motore diesel. Si sente ingannata, Laurie, perché in questi giorni l’Epa (US Environmental Protection Agency) ha scoperto che la Casa automobilistica tedesca aggirava sapientemente i controlli sulle emissioni nocive predisposti dagli Stati Uniti.
La parabola di Laurie suona come la nemesi di tante conclusioni avventate che abbiamo ascoltato in questi mesi in Europa a proposito del Ttip, o Transatlantic Trade and Investment Partnership, e in generale a proposito del libero scambio. Ttip, cioè quattro lettere che hanno mobilitato milioni di cittadini europei e dato lavoro a centinaia di ong, che indicano il tentativo di Bruxelles e Washington di chiudere un accordo di libero scambio senza precedenti. Che riduca non soltanto i dazi doganali, come accadeva con le intese liberoscambiste vecchio stampo, ma anche le “barriere di natura non tariffaria” – quindi soprattutto regolamenti e standard tecnici – per merci e servizi venduti attraverso l’oceano Atlantico. Il perfezionamento di tale intesa continua a essere rimandato, perché le mobilitazioni anti Ttip hanno un certo seguito popolare e sono sostenute da interessi non irrilevanti.
[**Video_box_2**]Le tesi sostenute en plein air sono cangianti: il Ttip è stato allo stesso tempo bollato come “un pericolo per la privacy”, “un pericolo per i diritti degli animali”, “un pericolo per l’alimentazione”, “un pericolo per la democrazia”, eccetera. Attivista che vai, insomma, pericolo letale che trovi. Ma ad allarmare tutti gli oppositori del Ttip c’è soprattutto un rischio: che la “way of life” europea possa essere contagiata e corrotta da quella americana. Vuoi sotto forma di organismi geneticamente modificati, vuoi attraverso un pollo lavato con il cloro, vuoi sotto la maschera di gare d’appalto troppo competitive o di regole del mercato del lavoro riviste ovviamente al ribasso. Da qualche ora, invece, ci confrontiamo con un apparente paradosso: un’agenzia regolatoria americana – per definizione (da stereotipo) lassista e piegata alle esigenze del grande business – indaga sulla frode di un’industria tedesca quasi inattaccabile come Volkswagen, innescando indagini simili a tutela dei consumatori europei e asiatici. “Se la globalizzazione diventa un problema”, come scriveva ieri Dacia Maraini sul Corriere della Sera, è per le ragioni opposte a quelle messe in fila dalla scrittrice e poetessa nella sua intemerata anti Ttip: le vie della concorrenza di merci e prodotti, così come della condivisione di regole e standard, sono infinite. E spesso si rivelano più verdi di quanto un singolo manager truffaldino vorrebbe far credere a noi umili consumatori.