Visti dalla Germania
La bagarre dinastica, politica e geoeconomica attorno a Volkswagen
Roma. Volkswagen deve affrontare la minaccia di multe miliardarie e di un’indagine penale negli Stati Uniti per avere sistematicamente aggirato le leggi americane sulle emissioni inquinanti dei motori diesel installati sulle sue auto. Lo scandalo potrebbe riguardare 11 milioni di veicoli e sta assumendo proporzioni globali; per coprire i danni ha accantonato 6,5 miliardi di euro. Il titolo Volkswagen, a Francoforte, ha perso quasi 25 miliardi di capitalizzazione, meno 38 per cento in due giorni. E’ stata anticipata a ieri sera la riunione del comitato ristretto del consiglio di supervisione per discutere la posizione del ceo Martin Winterkorn. Canada e Corea del sud prevedono provvedimenti. La Francia ha chiesto “un’indagine a livello europeo”. L’Italia vuole chiarimenti e non esclude il blocco delle vendite e il ritiro delle auto vendute. In Germania, oltre allo sdegno collettivo per un caso che tocca un’azienda-simbolo, giornali e analisti sono presi dalle dispute politiche collegate e dai contraccolpi geo-economici (c’entrano gli Stati Uniti).
In Germania monta la polemica per il raggiro orchestrato ai danni dei consumatori americani da Volkswagen, il colosso dell’auto accusato dalle autorità statunitensi di aver alterato i dispositivi che certificano l’impatto ambientale dei veicoli diesel con marchio Vw durante i test di laboratorio. La stampa di Berlino sta dando fiato allo sdegno collettivo per aver incrinato la reputazione tedesca all’estero e, allo stesso tempo, cerca di sottolineare aspetti della vicenda che fuori dai confini tedeschi sono emersi finora soltanto parzialmente.
Al centro c’è soprattutto la questione della leadership in una holding che sembrava essersi lasciata alle spalle i conflitti interni proprio quest’estate. In un editoriale pubblicato ieri mattina sul quotidiano conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung, Holger Appel evidenziava come appena due settimane prima dello scandalo, con il rinnovo del contratto fino al 2018 per l’amministratore delegato di Volkswagen, Martin Winterkorn, si fosse finalmente archiviata la lotta per il potere. La scorsa primavera, Ferdinand Piëch, il presidente del consiglio di sorveglianza ed erede della famiglia Porsche, aveva lanciato un pesante j’accuse dalle colonne del settimanale Spiegel, sostenendo che Winterkorn non avesse fatto abbastanza per consentire a Vw di sfondare sul mercato americano. Sfiduciato dal consiglio di sorveglianza, Piëch sembra essersi preso la sua rivincita, appena cinque mesi dopo la sua uscita di scena. Nel pomeriggio di ieri, hanno infatti cominciato a circolare le prime voci sulle dimissioni di Winterkorn e sulla sua sostituzione proprio con un uomo di Piëch, l’ad di Porsche, Matthias Müller. La riunione del comitato di supervisione, inizialmente prevista per oggi, è stata anticipata a ieri sera. “Non bisogna essere cospirazionisti, per pensare che si tratti di pura casualità”, ha commentato l’editorialista della Faz.
Ma la teoria del complotto sembra farsi strada anche sul versante “geopolitico”. Il giornale scandalistico svizzero, Blick, sottolinea come le irregolarità fossero in realtà note alle autorità da un anno e mezzo circa. Se si tiene conto che il dominio mondiale del marchio Vw è naturalmente inviso a tutti i concorrenti, è facile capire che il tracollo sperimentato in Borsa dalla casa madre di Wolfsburg è manna dal cielo per chi cominciava a pensare di aver perso definitivamente la guerra per il controllo del mercato dell’auto. Lungi dall’interessare solo il mercato nordamericano, lo scandalo di questi giorni è suscettibile di avviare un’inchiesta globale sui metodi impiegati da Vw per omologare le proprie automobili. Nel comunicato stampa emesso ieri, Wolfsburg ammette che il software illecito è stato impiegato per circa undici milioni di veicoli venduti in tutto il mondo. Negli Stati Uniti, Volkswagen, pur rappresentando soltanto il 2 per cento del mercato, stava cercando di sdoganare i motori diesel, particolarmente sgraditi a Washington. Uno scandalo di queste proporzioni pare costituire la pietra tombale dello sviluppo di questa tecnologia oltre Oceano. Come ipotizzato dal presidente dell’istituto tedesco per la ricerca economica (Diw), Marcel Fratzscher, le multe miliardarie che verranno inflitte al gruppo potrebbero costare diverse migliaia di posti di lavoro anche in Germania e frenare l’export tedesco. Un esito che difficilmente dispiacerebbe agli americani.
[**Video_box_2**]Infine, la battaglia politica. Da sempre Volkswagen è teatro di lotte personali, ma che interessano da vicino anche i partiti. Il land della Bassa Sassonia gode infatti di una minoranza di blocco che ne fa uno degli azionisti più importanti. Oggi, però, l’azionista pubblico finisce sotto pressione per non aver saputo evitare la frode, ma anzi aver sostenuto Winterkorn anche quando la truffa era già emersa. Attualmente il land è rappresentato dal suo governatore, Michael Weil, un socialdemocratico contro il quale si sono già rivolti gli strali velenosi di cristiano-democratici e cristiano-sociali. Il ministro dei Trasporti, Alexander Dobrindt (Csu), ha ordinato subito controlli severi sulle auto vendute in Germania, mentre il ministro dell’Economia, Sigmar Gabriel (Spd), pur deplorando le manovre di Vw, ha spiegato che l’obiettivo del governo deve essere ora quello di difendere la reputazione della Germania nel mondo. Viste le proporzioni, lo scandalo Vw rischia tuttavia di trasformarsi in un tracollo dell’Spd nelle “regioni rosse” della Repubblica federale, tra cui figura proprio la Bassa Sassonia.