Perché la Polonia ha detto un sorprendente "sì" alle quote per i rifugiati
La guerra in Ucraina ha provocato uno scisma nel gruppo Visegrad, il foro informale, nato all’indomani del crollo dei regimi comunisti, che riunisce i governi di Varsavia, Praga, Budapest e Bratislava. I polacchi biasimano Mosca, ungheresi e slovacchi mal tollerano le sanzioni alla Russia. I cechi galleggiano tra le linee. La crisi sui rifugiati ha inizialmente ripristinato la coesione nel quartetto. "No" unanime alle quote obbligatorie proposte dall’Europa sull’accoglienza degli uomini e delle donne che stanno marciando sulla rotta balcanica o sbarcando sulle coste greche e italiane: questa la posizione comune espressa dai quattro governi. Eppure martedì, quando la questione è stata messa ai voti nella riunione dei ministri degli Interni dell’Unione europea, la Polonia, contrariamente agli altri, ha accettato il piano comunitario.
Piotr Stachanczyk, sottosegretario agli Interni con delega all’Immigrazione, ha spiegato che se la Polonia si fosse opposta non avrebbe potuto negoziare, si sarebbe isolata. Da qui la scelta di appoggiare le quote e lavorare affinché la ridistribuzione dei rifugiati si basasse sui soli numeri concordati (la Polonia dovrà per ora ospitarne dai 4.600 ai 4.800), senza particolari meccanismi vincolanti. Decade in questo modo la possibilità di creare precedenti. Così ha spiegato Stachanczyk, citato dal portale Eubserver.
A ogni modo non tutto può ridursi ai passaggi tecnici. A Varsavia, c’è da credere, avranno soppesato bene le inconvenienze che si sarebbero prodotte nel caso in cui ci si fosse impuntati. La Polonia vive oggi un momento eccellente, in termini di stabilità economica. Ci sono inevitabilmente sacche di “vinti”, ma il paese inizia a funzionare. Molto dipende dal rapporto fruttuoso con la Germania, che assorbe più di un quinto dell’export e più di un quarto dell’import della Polonia, risultandone di gran lunga il primo partner commerciale.
A questo s’aggiungono i numerosi investimenti industriali operati dai colossi tedeschi. Oltre ai fondi strutturali europei. Il loro corretto utilizzo ha aiutato la Polonia a fare crescita. Insomma, il "no" allo smistamento dei rifugiati, preteso da Bruxelles su impulso di Berlino, avrebbe potuto creare attriti con i due principali generatori di sviluppo del paese. La scelta del governo, guidato dalla centrista Ewa Kopacz, che ha preso il posto di Donald Tusk dopo la nomina di quest’ultimo a presidente del Consiglio europeo e che in questi ultimi giorni ha aperto sui rifugiati, è stata contestata duramente da destra. Beata Szydlo, la candidata a primo ministro di Diritto e Giustizia, il partito populista destinato a vincere le legislative del 25 ottobre, ha affermato che il "sì" alle quote è una presa in giro nei confronti di slovacchi, cechi e ungheresi, denunciando inoltre la lesione degli interessi nazionali e la scarsa considerazione nei confronti della volontà dei polacchi. In effetti i sondaggi indicano che i cittadini sono prevalentemente contrari all’arrivo dei rifugiati.
[**Video_box_2**]La questione sta diventando centrale nella campagna elettorale, ricorda Piotr Buras, direttore dell’ufficio di Varsavia dello European Council on Foreign Relations. Sul sito del think-tank ha scritto, riferendosi a un recente studio sociologico, che la Polonia odierna è divisa in due “comunità morali tribali”, in aperto conflitto tra loro. La prima è informata dal concetto dell’aver cura dell’altro; la seconda vede accorda la priorità alla tutela della purezza nazionale. Il dibattito sui rifugiati riflette questa faglia, pur se va detto che le aperture di Ewa Kopacz sono giunte in modo graduale e forse non del tutto sincero.
Certo è che il dibattito è molto umorale, se non irrazionale. Al punto che Gazeta Wyborcza, il principale giornale del paese, ha promosso nei giorni scorsi un inserto, uscito in contemporanea su quaranta testate, dedicato proprio ai rifugiati. Una sorta di FAQ per informare correttamente e riportare la discussione politica dentro i confini del reale. Non è servito a molto.