Gli ecodemagoghi
Roma. Se avete una Golf 2.0 Tdi non è il caso che corriate a farvi una tac: l’impatto sulla vostra salute (e sul portafoglio) sarebbe maggiore di quello paventato, da alcuni, per l’affare Volkswagen. Affare che rischia di trasformarsi in un dieselgate: ieri rumors sulla Bmw. Certo, c’è chi guarda anche ai danni ambientali della truffa ammessa dai vertici di Wolfsburg: il Guardian, quotidiano leftist inglese, osserva che i gas inquinanti emessi dalle 482 mila auto tedesche con software truccato sarebbero tra le 10 mila e le 41 mila tonnellate l’anno, rispetto alle mille se si fossero rispettati gli standard americani. Allargando il campo agli 11 milioni di diesel Vw in circolazione il giornale ipotizza un maggiore inquinamento mondiale tra le 230 e le 950 mila tonnellate l’anno, concentrato soprattutto in Europa. E scende nell’arena anche il magistrato anti inquinamento Raffaele Guariniello con “l’apertura di un fascicolo per frode in commercio” e “indagini estese ad altre marche”. Le associazioni dei consumatori e lo stesso ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, ipotizzano anche danni alla salute. Almeno su questo fronte sarebbe però meglio darsi una calmata. Per esempio: un aereo di linea Milano-New York consuma circa 63 mila litri di cherosene, rilasciando 800 tonnellate di anidride carbonica, considerata la prima causa del (vero o presunto) aumento dei gas serra. I voli commerciali nel mondo sono 65 mila al giorno (15-20 mila gli aerei), pari a 52 milioni di tonnellate di sostanze inquinanti. Le stime sulle centrali convenzionali parlano di 2.500 milioni di tonnellate l’anno di anidride carbonica e zolfo. Ma di cosa stiamo parlando? Altro che diesel.
Eppure l’occidente ha in gran parte rinunciato al nucleare, proprio sotto la spinta ambientalista; mentre il traffico aereo cresce nel 2015 al ritmo del 6-7 per cento. Qualcuno tira in ballo la salute? Non pare. E’ giusto così: gli Ogm – bestia nera dei green – nutrono la popolazione mondiale, ma è noto che mangiando si rischia di ingrassare però non si muore di fame. Dunque il caso Volkswagen andrebbe trattato come un clamoroso spregio alla concorrenza da parte di un blocco protezionista. E questo, sì, chiama in causa la politica commerciale dell’industria tedesca che a sua volta ha determinato gli standard d’inquinamento in Europa. Come ha dichiarato al Sole 24 Ore Vicente Franco, dell’International council on clean transportation, l’istituto che ha collaborato con l’Agenzia americana di protezione ambientale (Epa), “è noto a tutti che i parametri europei sono molto meno esigenti di quelli americani, specie per i diesel che negli Usa equipaggiano il due per cento dei veicoli. E questo lo sa benissimo anche la Commissione europea, che ha allentato le briglie sotto la pressione di Berlino, e ora promette di modificare gli standard Euro 6, che pure sono già in vigore”.
[**Video_box_2**]La Commissione non effettua i controlli nei singoli stati, che spettano alle autorità nazionali; la Germania però ha un interesse fondamentale in più, cioè l’export. L’auto vale 300 miliardi di euro di export (e 600 mila posti di lavoro diretti); oltre agli intrecci ben noti tra industria, politica nazionale e locale, e sindacati. La sola Volkswagen vende oltre Europa il 60 per cento del fatturato, avendo puntato strategicamente sulla Cina (34,5 per cento) molto più che sugli Usa (9 per cento). E oltre la metà dei motori sono diesel. I controlli in oriente sono assai più blandi. Il rischio poteva dunque essere calcolato, se non fosse per la catastrofe d’immagine non messa in preventivo. L’aggiramento della concorrenza – sia con la frode sia con le pressioni politiche – è tutta in questo azzardo sbagliato, magari determinato dall’abitudine a dettare le regole europee plasmandole a proprio uso. E’ accaduto con i salvataggi di banche e assicurazioni, con la siderurgia, ora con le auto: settori strategici, tutti campioni del made in Germany. In fondo gli americani hanno lasciato fallire Lehman, ceduto Chrysler alla Fiat, messo in amministrazione controllata la General Motors; sotto i riflettori mondiali. E quando proprio Gm cercò di vendere Opel fu Angela Merkel a opporsi, schierandosi con i manager e i sindacati tedeschi. Nessuno prende sul serio nemmeno i consumi o la velocità dichiarati. Ma la Germania è più “nessuno” degli altri.