Obama è tentato da una svolta liberoscambista con l'Asia
Si va accrescendo considerevolmente il livello di attenzione con cui l’Amministrazione Obama sta seguendo i negoziati della Trans-Pacific Partnership, o Tpp, un mega-accordo commerciale i cui negoziati includono altri undici paesi dell’oceano Pacifico (Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, e Vietnam).
Se l’accordo andasse in porto, solo per gli Stati Uniti il Tpp consentirebbe di aumentare le esportazioni di oltre 120 miliardi di dollari entro il 2025, nella valutazione formulata dalla stessa Amministrazione. A livello globale, i benefici si attesterebbero intorno ai 300 miliardi l’anno, anche se è difficile valutare l’affidabilità di questi numeri in assenza di maggiori informazioni sulla piattaforma negoziale.
In questi giorni, il rappresentante del presidente americano Barack Obama per il Commercio internazionale, Mike Froman, sta ponderando l’idea di convocare una conferenza stampa, presumibilmente entro la fine della settimana, per annunciare che una bozza di accordo è stata raggiunta dallo zoccolo duro composto dalle due economie più importanti, Stati Uniti e Giappone, e da Malesia e Vietnam.
La questione spinosa è data dal regime di esenzione tariffaria per le componenti auto. Il Giappone chiede l’abbattimento tariffario per tutte quelle componenti di cui almeno il 30 per cento proviene dai paesi membri del Tpp. Canada e Messico intendono invece porre una soglia assai più restrittiva per difendere la produzione di componentistica già delocalizzata nel loro territorio e in linea con l’accordo Nafta di cui questi due paesi sono membri insieme agli Stati Uniti.
L’Amministrazione avverte la pressione temporale su una presidenza che è ormai giunta alle ultime battute, con la campagna per le elezioni del prossimo anno già ben avviata. Come se non bastasse, il Canada andrà alle urne alla fine del mese prossimo e, se l’attuale governo conservatore dovesse uscirne sconfitto come alcuni sondaggi sembrerebbero, ad oggi, accreditare, il nuovo governo di centro sinistra avrà un atteggiamento assai meno amichevole verso la liberalizzazione del commercio internazionale.
Il sostegno tedesco che manca
Se l’Amministrazione Obama deciderà di galvanizzare le aspettative annunciando la prossimità di un accordo, è utile chiedersi quali potranno essere le reazioni per le altre economie sistemiche, l’Unione europea e la Cina.
Quest’ultima, la grande esclusa dal Tpp, sta negoziando un altro mega-accordo, la Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep), che includerebbe le 10 economie del sud-est asiatico dell’Asean, Australia, Corea del sud, India, Giappone, e Nuova Zelanda – nel complesso, un terzo del pil mondiale. Anche se molti dubitano che la scadenza della fine dell’anno in corso per la fine dei negoziati sia realistica, Pechino ha appena concluso un accordo commerciale bilaterale con la Corea del sud, attorno al quale intende galvanizzare le aspettative favorevoli così da concludere i negoziati a breve.
Sul versante atlantico, gli Stati Uniti e la Ue stanno negoziando la Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), ma i negoziati hanno subìto una battuta di arresto per questioni legate alle esportazioni di prodotti agricoli e alla possibilità o meno per gli investitori di imporre agli stati membri il rispetto dell’accordo per via giudiziale.
[**Video_box_2**]E’ indicativo che proprio in questi giorni la capacità di iniziativa dal lato europeo si è considerevolmente amplificata. Il commissario Ue per il Commercio con l’estero, Cecilia Malmström, ha appena formulato una proposta per superare l’impasse legato al tema delle dispute stato-investitore ed è volata a Washington per discutere con la sua controparte americana, Mike Froman, la preparazione del prossimo round di negoziati in programma a metà ottobre. Giorni fa, proprio la Malmström aveva emesso una dichiarazione in cui chiedeva pubblicamente alla Germania di fare di più per sostenere politicamente l’iniziativa del Ttip.