Debito, debito delle mie brame
Roma. Entro il 31 dicembre il debito pubblico potrebbe calare di una settantina di miliardi, ma la volontà proclamata dal governo Renzi di ridurre virtuosamente la spesa dello stato non c’entra nulla. Un indizio è piuttosto nell’intervista che il presidente del Consiglio ha concesso a questo giornale lo scorso 12 settembre: “Dal prossimo anno faremo quello che avevo promesso, per rispetto del paese e per rispetto dei nostri figli: la riduzione del debito pubblico attraverso riduzioni della spesa ma anche attraverso operazioni ad hoc”. Si ragiona già oggi infatti dell’utilizzo del cosiddetto conto di liquidità del ministero dell’Economia, conto che inizia a ingrossarsi con i versamenti fiscali di cittadini e imprese a partire da giugno fino a inverno inoltrato. Il Tesoro ha versato a luglio, attraverso la Banca d’Italia, una tranche di 4,7 miliardi a riduzione del debito, operazione che proseguirà nei prossimi mesi e che era iniziata a giugno con un travaso ancora più sostanzioso di 16,6 miliardi. Il debito è così sceso sotto quota 2.200 miliardi e l’obiettivo è di puntare verso quota 2.150.
La scorta del Mef che un anno fa era di 110 miliardi si ridurrà di conseguenza, per poi tornare ad alimentarsi. Operazione normale (sempre soldi pubblici sono) e che rientra tra gli strumenti tipicamente contabili che il ministro Pier Carlo Padoan e il suo staff – le direzioni del Tesoro e del Debito – stanno attivando per calmierare un indebitamento che quest’anno è arrivato al top, e ha nuovamente fatto accendere sull’Italia i riflettori di Bruxelles, della Banca centrale europea, del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating. Ai quali si è aggiunta ieri la Banca d’Italia: “Il debito cresce da otto anni – ha notato il vicedirettore generale di Via Nazionale Luigi Signorini – Il governo deve iniziare a ridurlo, chiaramente e progressivamente”, dove l’importanza è tutta negli avverbi. La questione può complicare il negoziato europeo di Matteo Renzi e Padoan sui margini di flessibilità per una manovra espansiva e di riduzione fiscale. Questo, molto più che la polemica su Tasi e Imu, è il nodo della trattativa. Il conto di liquidità è più che sufficiente per il prossimo paio d’anni, almeno finché durerà l’effetto calmieratore del Quantitative easing della Bce. “E molti – dice al Foglio il viceministro dell’Economia, Enrico Morando – si augurano e credono che Mario Draghi prosegua nell’acquisto di titoli di stato sia in profondità sia in durata”. Il grande capo dell’Eurotower si muove già in questa direzione: ha annunciato l’ampliamento dal 25 al 33 per cento degli acquisti di titoli di ogni singola emissione; e non ha escluso che il Qe prosegua oltre la scadenza di settembre 2016. L’obiettivo di Draghi è di arrivare a un’inflazione nell’Eurozona prossima al 2 per cento, e siamo ancora lontani mentre il fronte tedesco appare un po’ indebolito.
“Infatti – aggiunge Morando – il nostro maggior problema è oggi la bassa inflazione prodotta a sua volta dalla lentissima, e in alcuni settori nulla, ripresa dei consumi. Diversamente, con un avanzo primario, cioè un risparmio di spesa al netto degli interessi, che nel 2016 sarà al 2 per cento, e un’inflazione normale intorno al due, il debito si sgonfierebbe anche da solo. E’ semplice matematica”. Nella nota di aggiornamento del Def (Documento di economia e finanza) approvata il 18 settembre, il governo ha fissato per quest’anno un saldo primario dell’1,7 per cento del pil, un decimale meglio del previsto, ma ha ridotto dal 2,4 al 2 l’avanzo del 2016.
[**Video_box_2**]Sei miliardi e mezzo destinati, con altre voci, a finanziare il calo delle tasse. Al tempo stesso il governo ha spostato in avanti il percorso di azzeramento del deficit, che è l’altra via – oltre al saldo primario e all’inflazione “sana” citate da Morando – per tagliare il debito. Che, secondo il governo, dopo il record del 132,8 per cento di quest’anno, inizierà a ripiegare nel 2016 al 131,4 e poi verso il 120. Ma andrà davvero così? E i mercati ne sono convinti? C’è attesa per l’esame del rating italiano di Moody’s (9 ottobre), Fitch (23 ottobre) e Standard & Poor’s (13 novembre). La terza, con BBB-, è la più severa, ma nell’ultimo report, a differenza di Moody’s, assegna più importanza alla ripresa dei consumi che non al debito. Invece proprio Draghi ha appena chiesto all’Italia di destinare a riduzione del debito i risparmi del calo dei tassi sui titoli pubblici, a sua volta frutto della politica accomodante della Bce. Su 1.833 miliardi di Btp, Bot, Cct e Ctz in circolazione, gli interessi sono stati 76 miliardi nel 2014, 69 quest’anno e altrettanti previsti nei prossimi due. Quattro anni fa il costo della raccolta fu del 3,61 per cento, nei primi nove mesi del 2015 è stato dello 0,7. Il risparmio si vede, e ancora di più si vedrà se il Tesoro userà la seconda arma anti debito a sua disposizione: cancellare alcune delle ultime aste. Oggi siamo all’85 per cento delle emissioni; a ottobre scadono 14,5 miliardi, a novembre 30, a dicembre 58. Il totale dà 102, ma il fabbisogno è già sceso a 40. E’ possibile un risparmio di 60 miliardi, il problema però è se e quanto si sommerà agli altri 70 di liquidità del Mef: molto dipenderà dalle “mance” della Finanziaria.
Ma intanto, dicono in Via Venti Settembre, “poiché i tagli sulla raccolta ci sono, è anche corretto conteggiare i minori interessi tra le spese correnti, così come da queste vengono i costi maggiori se gli interessi salgono”. Morando non ha da eccepire: “Il debito è uno stock, una massa, il deficit una voce fluida. Le due entità interagiscono, ma è coerente valutarle separatamente”. Già Giulio Tremonti diceva che “non si sommano mele e pere”, poi però ci fu il 2011. Ora, poiché di terapie in stile patrimoniale nessuno parla più – né vuol saperne Renzi – che cosa si può fare a parte le operazioni contabili? Morando richiama l’attenzione sulle privatizzazioni, convinto che riprenderanno sul serio, a partire dalle Poste, “ma poi il debito dipende principalmente da una spesa pubblica che finora si è considerata immutabile”. L’idea è di riportarla gradatamente sotto il controllo dello stato centrale: e finanche il taglio degli esami clinici superflui rientra in questa logica.