Perché è iniziato il “grande buio” dell'industria mineraria
Roma. Per anni il settore minerario è stato considerato da fondi pensione e fondi sovrani il porto più sicuro in cui investire. Ora comincia ad assomigliare a un cimitero popolato da compagnie zombie che si agitano in modo scomposto per cercare di limitare i danni in Borsa generati da un mix mefitico di fattori concomitanti: sovraccapacità produttiva permanente, caduta dei prezzi delle materie prime vicino ai minimi dall’inizio della crisi finanziaria, collasso della domanda cinese per produzioni industriali e costruzioni ormai in (prevedibile) rallentamento dopo il boom del recente passato.
La Cina pesa per la metà dei consumi globali di diversi minerali e metalli – minerale di ferro, alluminio, rame, nichel, carbone –, oltre che per un 10 per cento dei consumi petroliferi mondiali. La anglo-svizzera Glencore-Xstrata, una delle prime compagnie estrattive, è il simbolo delle difficoltà dell’intera industria mineraria. In questi giorni il titolo ha toccato i minimi storici alla Borsa di Londra perdendo il 29 per cento in due sedute, e il 77 per cento da inizio anno, recuperando ieri con un sostanzioso rimbalzo del 20 per cento circa. L’indice Ftse 350 che racchiude anche altri giganti minerari – tra cui BhpBilliton, Rio Tinto, Anglo American – ha recuperato 3,2 punti. Ma le aspettative sono grame. Il pugnace ad di Glencore-Xstrata, Ivan Glasenberg, da tempo ammonisce i concorrenti invocando un taglio della produzione mondiale per evitare una catastrofe annunciata. Glencore ha preso provvedimenti per cercare di convincere gli investitori della volontà di ridurre di almeno un terzo un fardello di debiti da 30 miliardi di dollari: oltre alla riduzione della spesa per investimenti (capex), necessaria ad acquistare beni durevoli come le macchine per gli scavi, la sospensione dei dividendi e l’offerta di nuove azioni, spicca tra le contromisure il taglio alla produzione futura nelle miniere di rame in Africa per 400 mila tonnellate l’anno. I concorrenti seguono. L’australiana Rio Tinto è particolarmente esposta all’eccesso di offerta di minerale di ferro, le cui prospettive di prezzo sono in calo, ma nonostante ciò ha confermato i dividendi agli azionisti come pure BhpBilliton. Entrambe hanno margini per migliorare l’efficienza delle miniere. L’anglo-australiana BhpBilliton, prima conglomerata mineraria nell’Asia-Pacifico, ha annunciato di avere ridotto la remunerazione delle prime linee del management. Anglo American invece potrebbe ridurre i dividendi, dicono alcuni analisti, ed è tangenzialmente toccata dalla crisi del platino, i cui prezzi sono calati ancora in seguito al recente “dieselgate” Volkswagen (il platino è usato nei motori diesel; il palladio, che viceversa è in rialzo, in quelli a benzina).
[**Video_box_2**]Inoltre, la Commissione svizzera che tutela la concorrenza (Comco) ha comunicato di avere iniziato a indagare su un presunto cartello tra banche (Ubs, Julius Baer, Deutsche Bank, Hsbc, Barclays, Morgan Stanley e Mitsui) per verificare eventuali accordi illeciti nel commercio di metalli preziosi; un’altra spada di Damocle sul settore. Alcoa, gigante americano dell’alluminio, ha comunicato un piano di scorporo delle attività: da un lato quelle estrattive, subordinate al ciclo delle materie prime, e dall’altro la trasformazione dei prodotti semilavorati (componenti per aviazione e automotive). La mossa non ha sorpreso gli operatori di Borsa che già erano abituati a una lungimirante gestione di Alcoa. E poi non è detto che proporre strategie finanziarie riparatrici basti a convincere i mercati, che si aspettano decisioni dolorose come quelle di Caterpillar. Il principale costruttore di macchine per l’estrazione ha abbassato le previsioni di ricavi per il 2015 e potrebbe licenziare 10 mila lavoratori nei prossimi tre anni. Macquarie, una banca d’investimento, ritiene che solamente dei tagli all’eccesso di offerta potranno invertire la spirale negativa nella quale sono intrappolati i giganti minerari: “Mentre questo processo è iniziato, in alcuni mercati semplicemente non è stata inflitta una pena sufficiente, sia per ampiezza sia per durata, per adattarsi al crollo della domanda e rompere il circolo vizioso per cui le aspettative di prezzo continuano a rotolare verso il basso”. (a.bram.)