Janet Yellen (foto LaPresse)

L'incertezza tecnocratica

Il mito dei banchieri centrali come infallibili supereroi sta vacillando

Alberto Brambilla
Riecco lo spettro deflazione. Si moltiplicano i discorsi “off topic” di decisivi policy maker. Carney (BoE) parla di clima, Yellen (Fed) balbetta

Roma. Durante la crisi finanziaria, i banchieri centrali sono stati consacrati a taumaturghi dell’economia globale, supereroi coperti dalla supposta infallibilità della politica monetaria. Quella percezione, che ha conferito a figure dell’élite tecnocratica bancaria uno status da rock star per copertine patinate, sta malamente svanendo. Nonostante una politica monetaria ultra accomodante, con 7 mila miliardi di dollari in stimoli monetari di varia guisa gettati sulle principali economie industrializzate del pianeta, la crescita globale è sotto i livelli pre-crisi, il riflusso della domanda di beni nelle economie emergenti sta deprimendo i prezzi delle materie prime, e in Europa si torna a parlare di “minaccia deflazione”.

 

Sfoderare una gamma di strumenti non convenzionali, ovvero diversi dalla leva del costo del denaro, è ormai ritenuta una contromisura lecita oltre che vitale. Ma giacché le munizioni si stanno esaurendo, i mercati prestano orecchio alle parole, ai sibili e ai silenzi dei banchieri cercando una direzione. Sfortunatamente i discorsi pubblici di alcuni decisivi banchieri stanno valicando i precisi confini della politica monetaria. Forse per sviare l’attenzione dalle loro attuali responsabilità o, più benignamente, perché ogni parola assume un peso enorme in una situazione di incertezza permanente. Fatto sta che la credibilità dell’élite bancaria è messa alla prova. Mark Carney, governatore della Bank of England, ex Goldman Sachs, ha suscitato stupore e malcontento (nell’industria mineraria) quando da un convegno di assicuratori ha avvertito delle “potenziali gigantesche perdite” se i governi non agiranno presto contro i “cambiamenti climatici”. Una voce credibile in un campo affollato, che non è il suo.

 

 

Per quanto i cambiamenti climatici, e le relative misure regolatorie sulle emissioni inquinanti, siano materia commerciale, i compiti di Carney sarebbero smisurati se dovesse intervenire in ogni questione industriale sensibile per l’economia. Farlo è compito dei governi, che invero sono deficitari in molti altri ambiti. Il mandato della BoE è “preservare la stabilità monetaria e finanziaria”, anche in senso ampio, ma pur sempre definito, e senza carattere di supplenza ulteriore. Carney pare dimentico della lezione del predecessore, Mervyn King, a capo dell’istituto di Threadneedle St. dal 2003 al 2013: “Un banchiere centrale per essere efficace deve essere noioso”. Fornire indizi sul prossimo rialzo dei tassi sarebbe in realtà arduo per Carney. La BoE attende un segnale in merito dalla tentennante Federal reserve di cui segue pedissequamente la rotta dal 1970. Il presidente della Fed, Janet Yellen, è stata criticata nei mesi passati per essersi chiusa in un muto ermetismo con l’avvicinarsi dell’annuncio della prima stretta sui tassi dal 2006, che avrebbe segnato una svolta netta dopo anni di denaro facile.

 

[**Video_box_2**]Yellen ha rimandato la mossa, pare a fine 2015 o nel 2016, così prevedono i gestori di fondi obbligazionari, scatenando un diluvio di dichiarazioni contrastanti da parte dei colleghi del comitato direttivo della Fed. L’incertezza dell’economia globale ha motivato la scelta di Yellen. Ma dopo il suo speech interlocutorio del 17 settembre, i mercati sono preda di turbolenze feroci: la volatilità è ai massimi da 6 anni, settembre chiude il peggiore trimestre per le Borse dal 2011. Yellen si è consegnata in ostaggio ai mercati, i cui sentimenti sono amplificati dalle macchine per il trading ad alta frequenza con effetti indecifrabili. La Banca centrale europea non è immune né alla bagarre né alla loquacità compulsiva dei suoi membri. Vítor Constâncio, il vicepresidente, ha parlato di “suicidio demografico” europeo segnalando la necessità di supplire alla denatalità con “l’immigrazione”; senza elaborare ulteriormente il controverso concetto. E’ una dichiarazione “off topic” ma più ficcante visti i tragicomici precedenti: dalla categorica negazione dell’incombente deflazione in Eurozona, alla rassicurazione sui “pochi segnali” di rallentamento della Cina (così scarsi che hanno ufficialmente spinto la Fed ha rinviare la stretta). Mario Draghi ha una reputazione intonsa per politici e mercati ma dovrà far rifiorire la credibilità di una categoria un po’ ammaccata, e pompare più liquidità.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.