La crisi delle parti sociali e la possibile supplenza tecnocratica
La crisi della rappresentanza si ripropone oggi in tutta la sua attualità, come evidenziato da Giuseppe De Rita lunedì sul Corriere della Sera. In una società dove gli attori e i ruoli si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, prevale la disintermediazione e, con essa, la dissoluzione di luoghi e organizzazioni tradizionali di tutela degli interessi collettivi. Se è vero che la rappresentanza è figlia del conflitto, ma che allo stesso tempo è in crisi, si può credere che situazioni conflittuali non siano più presenti nel tessuto sociale. Ma così non è. Sfaldatosi il sistema classico di rappresentanza, le tante “solitudini” sociali sono infatti in balìa del “più forte”.
In una società dominata da soggetti forti (pensiamo ai “padroni della rete”, come Google), dove il “gigante mercato”, se non regolato, tende a fagocitare il “solitario utente”, ci si accorge di quanto vivo sia il bisogno di salvaguardare gli interessi dei più deboli, e questo significa senz’altro i consumatori, ma anche i piccoli operatori. Ciò per evitare la disgregazione sociale e la “rivolta” di chi si sentisse abbandonato, ma anche per impedire che il mercato stesso, non più ordinato, entri in crisi. Pensiamo a settori come i servizi bancari e finanziari, le telecomunicazioni, l’energia o ai trasporti dove prevalgono le asimmetrie informative e la tutela dei consumatori è essenziale.
In piena crisi della rappresentanza, le istituzioni pubbliche sono essenziali per mantenere l’equilibrio dei mercati, garantire l’ordinato svolgimento delle attività economiche e della vita sociale. Un ruolo decisivo e per certi versi unico lo svolgono le autorità amministrative indipendenti, che presidiano diritti e interessi collettivi di rilevanza costituzionale in settori strategici. Esse esercitano – o devono tendere a esercitare – quel “potere neutro”, indifferente agli interessi di parte e, dunque, lontano dalla logica della rappresentanza ma che tutela gli interessi deboli. Tutela un tempo appannaggio di quelle agenzie rappresentative ora in crisi. Le autorità indipendenti, infatti, sono “rappresentanti” senza esserlo. Difendono i colori senza indossare una casacca. Sono “arbitro”, terzo e indipendente, in questo nuovo contesto sociale che di per sé supplisce alla crisi della rappresentanza. E’ la ricerca di quell’equilibrio del mercato che porta naturalmente a tutelare soggetti più deboli, senza soffocare le potenzialità di sviluppo economico. Alla “rappresentanza degli interessi” dove i rappresentanti agiscono nell’interesse esclusivo dei rappresentati, si sostituisce il concetto più ampio di “tutela istituzionale disinteressata”. Questo perché si è passati da una società di pochi e stabili interessi a un contesto sociale di interessi polverizzati, tanti e tali da mettere in crisi il modello classico di rappresentanza.
Come dimostra una indagine Doxa di qualche mese fa sulle liberalizzazioni in Italia, autorità indipendenti forti stanno aprendo i mercati e impedendo abusi nei confronti del consumatore. In esse il consumatore ha fiducia. C’è ancora molto da fare, ma il cammino è giusto. Va corretto, migliorato, ma non va ripensato – magari compiendo pericolosi passi indietro, come alcune volte sembrerebbe accadere. Le authority vigilano sui processi, affinché il mercato trovi la propria corretta “dimensione”. Garantendo, per esempio, il principio del consenso espresso, dell’opt-in rispetto a ogni modifica importante delle condizioni contrattuali, così che il consumatore ha il diritto di autodeterminarsi.
Pensiamo ai contratti a distanza, alla bolletta 2.0, ai servizi premium non richiesti, alle variazioni tariffarie. Ma anche al livello dei prezzi, al cambio di operatore e alla number portability nella telefonia fissa e mobile. Questi sono esempi di livello minimo. E’ bene però ricordare gli aspetti “macro”: ciò significa osservare come sia il complessivo equilibrio economico – tra singoli indifesi e potentati organizzati – a essere tutelato dai poteri neutrali e indipendenti. E’ la posizione complessiva dei poteri, all’interno dell’ordinamento, a mutare: il nuovo assetto è una chiave di lettura dei processi istituzionali attuali. Anche – e forse soprattutto – in chiave democratica. Perché questa si arricchisce di partecipazione, di garanzie e strumenti di tutela – i tipici strumenti “offerti” dalle autorità indipendenti.
Pensiamo ora ai grandi cambiamenti del mondo digitale. Qui l’evoluzione tecnologica porta con sé enormi opportunità, ma anche il “rischio isolamento” per quei consumatori che vivono in zone periferiche o remote. Occorre garantire il servizio universale che va mantenuto ma al tempo stesso adattato all’evoluzione delle tecnologie digitali. Il cittadino utente ha diritto a un set di servizi ovunque esso si trovi, anche nelle regioni più remote. In particolare, a un adeguato accesso alla rete.
In un sistema economico globale e aperto alla concorrenza, vi è la necessità di regole e istituzioni indipendenti che garantiscano il corretto funzionamento del mercato, ma anche la tutela imparziale degli interessi pubblici, e la dimensione e la vita dei singoli.
[**Video_box_2**]Come ci ricorda Sabino Cassese, questi poteri sono ingranaggi essenziali della democrazia. Con la loro legittimazione procedurale, il sapere tecnico e i peculiari criteri di nomina (principalmente parlamentare, ma non solo), rappresentano il cuore dello stato regolatore. Con loro, il cittadino viene tutelato nella erogazione di servizi essenziali prima gestiti direttamente dalla “mano pubblica”, e ora affidati a privati. I poteri indipendenti sono parte di quegli ingranaggi, tipici della democrazia, disposti come pesi e contrappesi di una architettura delicata, dove la ricerca di checks and balances è un affaire quotidien.
Questo vale ancor più ora che la rappresentanza degli interessi è stata messa in crisi e delegittimata. In attesa che una rappresentanza della società liquida in qualche modo si riformi e torni a tutelare i soggetti più deboli.
Abramo Lincoln pronunciò queste parole: “Così come non vorrei essere uno schiavo, così non vorrei essere un padrone. Questo esprime la mia idea di democrazia”. E’ proprio la situazione che dobbiamo affrontare oggi: ritrovare la rappresentanza, ricrearla, e infine innalzarla, affinché i padroni visibili non generino nuovi schiavi invisibili.
Antonio Preto è commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom)