Quando il despota ti mette le ali. L'aeroporto di Istanbul e noi
Roma. Parlando dei tentennanti e in-decisionisti paesi dell’Europa continentale, il primo ministro di Ungheria, Victor Orbán, un pugnace conservatore, disse che “le società liberal-democratiche non possono rimanere competitive a livello globale”. Il “paradigma Orbàn”, come fu definito, vale per paesi descritti dalla massa mediatica come autoritari, dispotici o oligarchici. Vedi Russia, Cina, Singapore, India e Turchia. “Non sono occidentali, non sono liberali, forse nemmeno democratici, eppure sono di successo”, disse Orbàn tradendo forse eccessiva fiducia nell’esito di politiche dal retrogusto sovietico. Ma è certo più probabile riuscire a concludere con successo un affare di dimensioni ragguardevoli, magari nei precisi tempi stabiliti, quando un governo è capace di imporre a tutti i costi scelte strategiche radicali per quanto esse possano risultare indigeste ai cacicchi, ai sindacati, alle associazioni varie, o agli oppositori, riducendo la concertazione a livello minimo o nullo. Il paradigma Orban al test del grande business potrà essere messo alla prova in questi anni a Istanbul, in Turchia, dove entro il 2018 dovrà entrare a regime l’aeroporto civile più grande del pianeta per numero di passeggeri in transito.
L’inizio dell’operatività del Istanbul Yeni Havaliman (il Nuovo Aeroporto) è prevista il 20 ottobre 2017, giorno dell’anniversario dalla fondazione della Repubblica Turca risalente al 1923, per essere pienamente in funzione a inizio 2018. Da allora in poi il mondo dell’aviazione, in particolare europea, non sarà più come lo conosciamo. Il terzo aeroporto della capitale turca ambisce infatti a diventare il primo hub dell’aviazione tra Europa e Oriente, con sei piste di atterraggio e un traffico previsto di 150 milioni di passeggeri all’anno entro un decennio – una capacità doppia rispetto all’inglese Heathrow – e per il periodo di avviamento di 90 milioni di passeggeri – pari comunque all’aeroporto americano di Atlanta, oggi quello con la maggiore capacità al mondo. Con l’apertura del nuovo scalo, il vecchio “Atatürk” verrà chiuso entro il 2021 per evitare un’indesiderabile mutua concorrenza.
Sorgerà nel distretto rurale della città di Arnavutköy, governata dal partito di Recep Tayyip Erdogan, l’Akp, nella parte europea della provincia di Istanbul. Una zona paludosa antistante le rive del Mar Nero.
Quando il progetto era agli albori, più di due anni fa, molti osservatori prevedevano ritardi e lungaggini ritenendo che non sarebbe stato possibile rispettare i tempi di consegna a causa dell’opposizione delle associazioni ambientaliste e della burocrazia giudiziaria. Alcuni di questi ostacoli si sono puntualmente manifestati. L’associazione nazionale di birdwatching (per l’osservazione dei volatili) è stata tra le prime a protestare per i danni all’ecosistema locale e il rischio di decimare la popolazione di uccelli migratori e acquatici che finirebbero risucchiati a centinaia dai motori degli aerei. Circa due milioni di alberi devono essere tagliati. Nel 2014 la Corte amministrativa di Istanbul aveva ordinato la sospensione del progetto sulla base di un esposto delle associazioni ambientaliste che chiedevano la l’annullamento delle analisi di impatto ambientale, necessarie per proseguire i lavori. Il ministro dei Trasporti, degli Affari marittimi e delle Comunicazioni, Lufti Elvan, disse che la decisione della Corte non avrebbe interferito con i lavori, mentre il ministro dell’Ambiente, Idris Gulluce, la bollò come “errore fattuale”. La corporazione degli ingegneri e degli architetti aveva anche paventato il rischio che la costruzione dell’aeroporto drenasse risorse idriche eccessive dalle riserve della capitale.
Appelli e sentenze rimasti sullo sfondo, mentre il governo lanciava bandi per gli appalti edilizi a rotta di collo e cominciavano le prime trivellazioni esplorative nel terreno paludoso destinato a ospitare l’aeroporto esteso nella sua interezza su un’area di 80 km/q (quasi quanto la superficie di Lisbona).
“Questo progetto richiede che tutti siano sensibili e attenti alla protezione dell’ambiente urbano di Istanbul e anche molto attenti alla struttura del suolo. La grandezza del progetto e l’importanza che diamo alla protezione dell’ambiente della capitale sono uguali”, ha detto Ahmet Davutoglu, primo ministro e delfino di Erdogan. La priorità è comunque arrivare al “momento della vittoria” a ogni costo, ha detto durante la cerimonia di inaugurazione degli scavi, luglio 2014, il presidente Erdogan (non è escluso che lo scalo prenda il suo nome successivamente). Inoltre l’estate scorsa, dopo che l’Akp non aveva ottenuto una maggioranza sufficiente a formare un governo, durante le trattative per creare una coalizione – trattative poi franate, tant’è che si andrà a nuove elezioni il 1° novembre –, Erdogan aveva diffidato i colleghi dal generare qualsiasi opposizione a progetti importanti. “Ogni trattativa per la coalizione che inizia con un dibattito sulla sospensione dei maggiori progetti della Turchia mi troverà in prima persona a osteggiarla. Dicono che non vogliono lasciare costruire il terzo aeroporto o il terzo ponte. Ma che razza di mentalità è questa?”, ha detto esprimendo i “migliori auspici” affinché si formasse il nuovo esecutivo.
L’importanza del progetto, per l’aviazione e per l’intera economia, è di massima rilevanza. E’ una colossale opera pubblica nella quale convergono giganti dell’estrazione mineraria, della cantieristica, dell’edilizia consorziati tra loro (Cengiz, Mapa, Limak, Kolin e Kalyon) oltre a banche pubbliche che elargiscono prestiti (Ziraat, Halkbank e Vakfbank) e altre private a fare da garanti a degli investimenti previsti per 11,7 miliardi di euro – che in realtà potrebbero facilmente gonfiarsi oltre i 20 miliardi. L’annuncio del primo pacchetto di finanziamenti è previsto per la metà di ottobre, mentre è stata appena scelta la società di progettazione delle infrastrutture aeroportuali comprese vie stradali, sistemi idrici, illuminazione segnaletica, ecc. La struttura ospiterà anche 120 mila metri/q di spazi commerciali.
La possibile scossa per Fiumicino
L’aeroporto di Istanbul è sito al confine d’Europa ed è ideale per consolidare il traffico da e verso centinaia di destinazioni della compagnia di bandiera Turkish Airlines, che è solo in parte privatizzata e riceve un decisivo sostegno dallo stato al punto che di fatto il nuovo scalo le è stato cucito addosso. Turkish sta vivendo un’avanzata spettacolare tra i grandi vettori detti super-connettori che comprendono i colossi del Golfo Emirates, Qatar Airways e Etihad. L’anno scorso i quattro vettori messi insieme hanno trasportato nei loro hub del Golfo o di Istanbul 115 milioni di persone, contro i 50 milioni del 2008. Sono tutti compresi nella top ten delle migliori compagnie aeree (la prima americana è Delta in 49esima posizione), secondo le ricerche di Skytrax.
Con l’aeroporto più grande del mondo in casa, Turkish è destinata a imporsi ulteriormente anche grazie alla sua capacità, derivata dall’efficienza e dalla prevalenza di tratte di lungo raggio, di potere tenere basse le tariffe a carico dei passeggeri. Il ceo di Turkish, Temel Kotilil, ha detto che “quando il nuovo aeroporto sarà completato i costi diminuiranno e questo comporterà un abbattimento dei prezzi del biglietto”.
Turkish è quarta al mondo per numero di destinazioni raggiunte (267) in 109 paesi, servendo in particolare da connettore tra l’Europa e l’Asia. Turkish drena passeggeri da 84 aeroporti europei, secondo l’Economist, e questo dovrebbe preoccupare i concorrenti. La francese Air France-Klm e la tedesca Lufthansa sono state le prime a risentire della perdita di quote di mercato per la concorrenza dei giganti mediorientali. L’Italia potrà risentirne anch’essa per quanto la compagnia di bandiera Alitalia sia stata salvata, e con quali risultati è ancora da vedere, dall’emiratina Etihad. Turkish, con tutta la potenza dello stato turco alle spalle, ha un numero di frequenze di voli superiori ai concorrenti del Golfo in ben dieci aeroporti italiani. Yurdagul Altinoz, general manager di Turkish, aveva fatto intendere in un’intervista al Corriere del Mezzogiorno del 25 aprile di ambire fare di Istanbul l’hub dei voli da e per Bari; come potrebbe invero accadere anche in altri scali del sud. L’hub italiano di Roma-Fiumicino è anch’esso in predicato da anni di espandersi, con un progetto al 2044, mentre la struttura attuale soffre di carenze croniche e la gestione privata di Adr (Aerporti di Roma), di proprietà della famiglia Benetton, ad ora non è in sintonia con gli interessi di Etihad-Alitalia. Potrebbero giungere investitori nuovi in Adr, come i fondi sovrani di Abu Dhabi (Adia) e della Cina (China Ginkgo Tree), a rinforzo. L’industria aeroportuale è un settore in massima parte pubblico dove i privati hanno bassi margini; soprattutto se preferiscono staccare dividendi milionari anziché investire. Anche l’aeroporto inglese di Heathrow ormai saturo dev’essere ampliato – da trent’anni – e nonostante le sferzate dei governi, compreso oggi quello conservatore di David Cameron, rischia di perdere la primazia nel traffico internazionale.
Quanto si sta preparando a Istanbul probabilmente darà la scossa a tutti i concorrenti per archiviare le discussioni e agire.