In Germania c'è un motore un po' truccato anche in banca. Ecco perché

Ugo Bertone
Il dg di Deutsche Bank ha rivelato che gli ospiti stranieri della banca erano convinti che Db fosse un acronimo della Banca centrale tedesca. E che, lungi dal chiarire l’equivoco, i manager dell’istituto ci hanno marciato in nome del business

Milano. “Ma mi spiegate perché la Bundesbank ha due presidenti? Ho conosciuto Joseph Ackerman, ma mi dicono che c’è anche un certo Jens Weidmann…”. Stefan Krause, già direttore generale di Deutsche Bank ai tempi di Ackerman, il potente boss che voleva sfidare i colossi dell’investment banking di New York, ha rivelato pochi giorni fa che in più di un’occasione gli ospiti stranieri della banca erano convinti che Db fosse un acronimo della Banca centrale tedesca. E ha confessato che, lungi dal chiarire l’equivoco, i manager dell’istituto ci hanno marciato in nome del business.

 

Peccato veniale, se si pensa alla raffica di accuse, dalla manipolazione del Libor agli interventi truffaldini sul mercato dei cambi per finire alle recenti accuse di frode fscale da parte delle autorità americane, che hanno segnato una sorta di via crucis per quello che fu l’orgoglio di Germania, prima di trasformarsi, passo dopo passo in un incubo per Merkel. In questa cornice, l’ultima sorpresa poteva essere il colpo di grazia. Ieri mattina gli operatori dei mercati finanziari hanno ricevuto la notizia che John Cryant, il banchiere inglese chiamato a rimettere ordine della matassa di Deutsche Bank, avviluppata per giunta tra scommesse miliardarie sui derivati e le conseguenze (penali) del crac di Leo Kirch, aveva annunciato una svalutazione per oltre 6 miliardi di euro, provocata da più disavventure: 2,3 miliardi in meno per le partecipazioni nell’investment banking, ricalcolate secondo i parametri della Banca centrale europea (meno generosi di quelli della Bafin, l’organo di controllo della finanza tedesca); ma anche un robusto taglio al valore di carico di Post Bank, l’ex rete della Posta in cui i sindacati sono da sempre sul piede di guerra contro la City di Francoforte. Non poteva mancare, poi, un flop in Cina: 600 milioni andati in fumo nella Huaxia Bank, di cui l’istituto ha il 19,9 per cento. Insomma, c’erano le premesse per un’altra giornata nera per la Borsa di Francoforte su cui, da giorni, piovono notizie negative sulle sorti della locomotiva d’Europa. Al contrario, i mercati hanno applaudito la conversione di Deutsche Bank alla trasparenza; meglio un sano taglio, p che non gli equilibrismi del recente passato, condito di menzogne sui derivati e di piani di rilancio fantasiosi. E così, gli stessi fondi di investimento e di private equity, che avevano contribuito alla cacciata dei vecchi amministratori, hanno apprezzato la scelta di Criant, che da mesi taglia teste e stipendi. Anche Morgn Stanley si è unita al plauso generale, con un report uscito proprio ieri mattina in cui prevede una forte ripresa delle banche tedesche. Le ragioni? Tra le altre spicca la convinzione che il passaggio della Vigilanza dalle autorità domestiche alla Bce abbia avviato un’opera di trasparenza nel  mondo del credito d’oltre Reno, finora segnato dalla stretta alleanza con le esigenze dell’industria e della politica locale.

 

[**Video_box_2**]Non è il caso di Deutsche Bank, che le sue disavventure le ha cercate un po’ dappertutto, con omissioni nella governance e nel controllo delle attività dei suoi colletti bianchi, a Londra come a New York. Ma sia i” buchi” nei controlli dei traders sia i prestiti generosi delle Landesbanken hanno una radice comune: troppo speso la corporate tedesca, in nome del business, ha fatto quadrato con un’interpretazione elastica di norme all’apparenza rigide. Non è difficile accostare le traversie di Deutsche Bank alle disgrazie di Volkswagen. Non solo in entrambi i casi l’enforcement teutonico delle regole si è rivelato debole nei confronti dei controllati, ma la scoperta delle infrazioni è avvenuta per esclusivo merito delle agenzie americane. Infine, sia a Wolfsburg sia a Francoforte si prevedono misure forti. Senz’altro ci saranno in Deutsche Bank, dove Crian ha mandato una lettera ai dipendenti che non lascia campo: “Le notizie non sono buone. E sono convinto che gli azionisti vorranno che i loro sacrifici siano condivisi dal personale”. Ovvero per quest’anno niente dividendi, ma nemmeno gratifiche o bonus allo sportello o, tantomeno, per i golden boys della City. Ma quel che vale per la banca non può essere trapiantato in Volkswagen, simbolo della cogestione tedesca. I mercati però non disperano. Matthias Mueller, il nuovo ceo, saprà scovare una soluzione adatta al modello di cogestione tedesco. Ma con qualche riflettore in più sulla governance del gruppo, oggi affidata a familiari, politici della Sassonia e sindacati.   

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