Ragioni economiche e deontologiche per finirla con gli “esami inutili”
"Una delle malattie più diffuse è la diagnosi”, scriveva Karl Kraus. Forse un po’ d’ironia non guasterebbe per superare il disgustoso dibattito attorno al “decreto appropriatezza”, caratterizzato da cattiva comunicazione, strumentalizzazioni, ignoranza e, perché no, malafede. E’ utile tentare di attivare, invece, un dibattito pubblico serio, basato sui fatti. Innanzitutto mettiamoci d’accordo su che cosa s’intende per “appropriatezza”. In sintesi, un intervento sanitario (esame diagnostico, visita medica, operazione chirurgica, farmaco, eccetera) è appropriato quando i benefici sulla salute che ci attendiamo dall’intervento superano i rischi.
Non dimentichiamo mai che la medicina non è una scienza esatta e che, ogni volta che decidiamo una strategia diagnostica o terapeutica, abbiamo una certa probabilità di successo e d’insuccesso: nella decisione medica, la ponderazione tra benefici e rischi è l’essenza dell’atto medico. Il “decreto appropriatezza” affronta una parte minima dell’appropriatezza professionale: 208 esami diagnostici. Questo tema è da decenni riportato nella letteratura medica mondiale. Perché allora queste reazioni dei sindacati medici e di alcuni ordini dei medici provinciali? Non sarà che finché si scrive una linea guida o si pubblica un lavoro va tutto bene, ma quando bisogna passare dalle parole ai fatti ci si accorge che il cambiamento intacca nicchie ecologiche e interessi? Per esempio, l’intervista a una televisione regionale del presidente dell’Ordine dei medici di Bologna è sconcertante: “Non esistono esami inutili; il codice deontologico prescrive che i medici facciano tutto quello che è possibile per il paziente; il problema delle liste d’attesa si risolve aumentando l’offerta, così come quando c’è la coda per prendere un taxi bisogna aumentare il numero dei taxi”. Evidentemente da almeno 20 anni non legge le riviste scientifiche che, in tutto il mondo, documentano l’inutilità (e talvolta la pericolosità) di numerosi esami e interventi medici; non ricorda che il nuovo codice deontologico prescrive che il medico “fondi la sua attività sui princìpi di efficacia e di appropriatezza”, che “la prescrizione debba far seguito a una diagnosi circostanziata o a un fondato sospetto diagnostico” e che essa si debba fondare “sulle evidenze scientifiche disponibili, sull’uso ottimale delle risorse e sul rispetto dei principi di efficacia clinica, di sicurezza e di appropriatezza”; non si rende conto che l’esempio dei taxi per i tempi d’attesa è una sciocchezza perché nella Sanità è l’offerta che crea la domanda e non viceversa come nelle situazioni di mercato vero. D’altra parte, i governi degli ultimi decenni non hanno affrontato in modo sistematico i nodi veri della Sanità che non sono solo di tipo strutturale (accorpamento di enti, acquisti centralizzati), ma anche organizzativo (sviluppo di sistemi organizzati per problema dei pazienti e della popolazione, con adozione di un sistema di finanziamento non solo basato sulle singole prestazioni; diffusione della valutazione della tecnologia sanitaria a tutti i livelli per orientare l’introduzione di nuove tecnologie e la dismissione di quelle obsolete) e culturale.
[**Video_box_2**]Sicuramente problemi così complessi non possono essere affrontati solo con provvedimenti economico-finanziari adottati sull’onda dell’urgenza senza renderne pubblici i criteri ispiratori e che, per giunta, burocraticamente impongono sanzioni economiche ai reprobi. Allora, caro ministro, è tempo di passare dall’urgenza all’importanza. Sfidi le regioni e i professionisti sanitari (non solo i medici). Lanci un efficace programma nazionale sulla sicurezza dei pazienti e sull’appropriatezza degli interventi sanitari; dia rapida attuazione al programma sulla valutazione della tecnologia sanitaria previsto dal Patto per la salute; chiami a raccolta tutti coloro che sono interessati al cambiamento sostenibile del Servizio sanitario nazionale; imposti un sistema di comunicazione e informazione atto a sostenere il cambiamento. L’alternativa è lasciare al ministro dell’Economia l’extrema ratio dei tagli lineari. Questo, da medici responsabili, non possiamo veramente permetterlo.
Carlo Favaretti è del Centro per la Leadership in Medicina,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma