Il professore di Filosofia di Princeton Harry G. Frankfurt

Diseguaglianza? Alt!

Marco Valerio Lo Prete
Frankfurt, filosofo di Princeton, contro la “superficialità” e gli “effetti perversi” di un nuovo mantra. Scalfite alcune certezze dell’Intellettuale-Politico-Giornalista collettivo post-Piketty ossessionato dalla diseguaglianza che aumenta in ogni dove.

Roma. Ci voleva forse un professore di Filosofia di Princeton come Harry G. Frankfurt per scalfire alcune certezze dell’Intellettuale-Politico-Giornalista collettivo post Piketty, quello – per intenderci – ossessionato dalla diseguaglianza che aumenta in ogni dove. Ci voleva sicuramente l’autore di “Stronzate. Un saggio filosofico” (nell’originale inglese: “On Bullshit”), per prendere di petto quello che è diventato il nuovo mantra del discorso pubblico occidentale: la diseguaglianza che cresce in ogni dove, appunto, e che tutto spiega.

 

“On inequality”, in uscita per Princeton University Press, prende il via da una dichiarazione del presidente democratico Barack Obama – uno che nel municipio di Princeton nel 2012 raccolse il 75,4 per cento dei consensi – secondo il quale “mettere fine alla diseguaglianza è la sfida più importante della nostra epoca”. Chiosa subito Frankfurt: “Mi sembra, invece, che la nostra sfida più importante non sia costituita dal fatto che i redditi degli americani sono molto diseguali tra loro. Piuttosto la sfida è dovuta al fatto che troppi fra di noi sono poveri”. Il professore di Princeton relega le statistiche alle note a piè di pagina, comunque più agili di quelle (poi contestate) dell’economista francese Thomas Piketty e del suo “Il capitale nel XXI secolo”. Il punto, secondo Frankfurt, è un altro: “L’eguaglianza economica non è un ideale moralmente convincente”. Peggio ancora, “questa credenza tende a produrre danni significativi”. L’argomento più noto, che il filosofo si limita a citare senza smentirlo, è quello secondo il quale l’egalitarismo economico genera un conflitto pericoloso tra uguaglianza e libertà; fino al paradosso secondo il quale, se l’uguaglianza diventa la priorità ai danni della libertà, potremo sempre ottenere un mondo più uguale rendendo tutti quanti poveri e disgraziati allo stesso modo. Tuttavia la tesi più originale del pamphlet è un’altra: “L’ammontare di soldi a disposizione degli altri non ha nulla a che fare, in maniera diretta, con ciò che è necessario per il tipo di vita che una persona ricercherebbe assennatamente e appropriatamente per sé”. Di conseguenza, “la preoccupazione per il presunto valore intrinseco dell’uguaglianza economica tende a distogliere l’attenzione di una persona, allontanandola dal tentare di scoprire (…) quello che gli sta veramente a cuore, quello che davvero desidera o di cui ha bisogno, e quello che gli darà realmente soddisfazione”. Una tale distrazione imposta dalla retorica anti diseguaglianza, secondo Frankfurt, è dunque pericolosa perché “alienante”; separa una persona dalla sua realtà individuale, la porta a concentrare la sua attenzione su desideri e bisogni che non sono i più autenticamente suoi. In questo modo la dottrina disegualitaria “contribuisce al disorientamento morale e alla superficialità della nostra epoca”. Un altro danno è quello inflitto alla classe degli intellettuali, distolti da questioni filosofiche profonde come il valore genuino di ciò che è buono per noi o come il concetto dell’avere a sufficienza, e preoccupati invece da una pappa pronta all’uso come “l’uguale suddivisione” dei beni. A chi sogna una società in cui vigano relazioni fraterne, raggiungibili solo in condizioni di quasi-uguaglianza di reddito, o a chi si allarma per i dislivelli di status sociale o potere politico, Frankfurt consiglia di non nascondersi dietro il dito della diseguaglianza economica e di puntare dritti alla luna per risolvere problemi che nemmeno l’autore nega esistere.

 

La grande fuga e l’ancella dello sviluppo         

 

[**Video_box_2**]D’altronde un suo collega di Princeton, Angus Deaton, è stato appena insignito del premio Nobel per l’Economia “per le analisi sui consumi, la povertà e il benessere”, analisi che pongono in prospettiva storica la “grande fuga” del mondo occidentale dalla fame e dalla malattia. E se la scorciatoia europea è stata quella del capitalismo industriale, Deaton osserva come già da millenni la diseguaglianza sia stata “ancella” dello sviluppo, e come “un mondo migliore produce un mondo di differenze”, perché sempre “le fughe creano diseguaglianze”. Fin dalla rivoluzione neolitica di 10.000 anni fa, se è vero, come sostiene l’economista nella sua ultima opera pubblicata in Italia dal Mulino, che “il mondo migliore – se davvero l’agricoltura ha portato a un mondo migliore – è un mondo più diseguale”. Bando alle ciance, si stava peggio quando si stava peggio.

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