La revisione della spesa ha creato un cimitero di tecnici
Roma. Visitare il “cimitero” dei commissari alla revisione della spesa spiega quanto sia complicato passare dall’individuazione di potenziali tagli alla loro concretizzazione. Arrivano baldanzosi, fiduciosi nella copertura politica ottenuta, con le cesoie affilate, ma poi se ne vanno mesti e afflitti. Sono eroi tragici con le forbici spuntate alle prese con il moloch della spesa del secondo paese più indebitato d’Europa che non riesce e forse non vuole affamare la bestia pubblica e i suoi derivati. Una lista: Enrico Bondi (aprile ’12 - dicembre ’12) si sovrappone con il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, anche lui deputato alla “spending” – dirà in proposito di perseguire il modello inglese di tagli programmati. Gli succede Mario Canzio (gennaio ’13 - maggio ’13), lascia per andare ai vertici della Ragioneria dello Stato e viene sostituito da Carlo Cottarelli (ottobre ’13 - ottobre ’14). Il quale, dopo avere presentato il suo rapporto al governo – che resterà segreto per mesi –, si dimette per incomprensioni con il premier Renzi (sul suo blog scrisse che il governo voleva tagliare le spese per finanziarne di nuove). Dopodiché arriva Yoram Gutgeld, ex McKinsey, già consulente del governo, è il primo commissario con le spalle ben coperte dal premier – è consigliere di Renzi –, ed è affiancato con ruolo operativo, detto di “subcommissario”, dal professore bocconiano Roberto Perotti. Probabilmente il lavoro (a titolo gratuito) di Perotti, il quinto “commissario” in tre anni, non è stato sufficientemente valorizzato dal governo nella legge di stabilità 2016 presentata ieri, viste le voci di sue dimissioni che – vedremo se infondate – rivelano insofferenza.
Ogni commissario conserva la propria visione ma in generale l’impossibilità di movimento viene imputata, a volte con eccesso di mitizzazione, alle strutture burocratiche dei ministeri che amministrano capitoli di spese ingenti spalmate in più anni, e quindi trasversali rispetto alle legislature. Ma chi sono questi burocrati, facciamo i nomi? “Assolutamente no, i nomi non si fanno”, dice un ex commissario che pretende l’anonimato, quasi che i burosauri ministeriali avessero poteri da negromanti. “Nel mio caso i burocrati furono sottovalutati – dice Francesco Giavazzi che presentò al governo Monti un piano da 10 miliardi di tagli di sussidi alle imprese – e al ministero dello Sviluppo si sono opposti, ognuno aveva le sue buone ragioni per non tagliare. La burocrazia resiste nel momento in cui amministra capitoli di bilancio, che vuol dire spesa: non gli togli il posto, ma togli potere. E così funziona anche a livello locale”.
Con la riforma della Pa, firmata Madia, per la quale si attendono i decreti attuativi, i dirigenti ministeriali hanno mandati quadriennali da rinnovare per due anni senza competizione interna. Non sono dunque inamovibili ma nemmeno sottostanno a un regime di rotazione obbligatoria a tempo determinato; come avviene per prassi in alcune organizzazioni internazionali. “Bisogna però riflettere sul fatto che i commissari esterni non funzionano – ragiona Giavazzi – La spesa pubblica non è una questione tecnica, di schede, file e tabelle. Una persona messa lì senza peso politico è molto debole. La revisione deve essere fatta in prima persona dal presidente del Consiglio”. Gutgeld è emanazione del premier però. “Vero, ma si vede che ha un peso politico insufficiente rispetto al compito”. Va aggiunto, poi – così ragiona un ex commissario anonimo – che i governi Monti, Letta e Renzi non hanno goduto di un mandato elettorale pieno che potesse legittimarli a procedere con una strategia di tagli e risparmi dichiarata davanti ai cittadini e quindi da essi condivisa con il voto. Continua Giavazzi: “La revisione della spesa deve partire da Palazzo Chigi e non con un disegno di legge, ma per decreto. Abbiamo visto come il ddl concorrenza è stato spolpato dal Parlamento in pochi mesi. Se questa è democrazia, la democrazia allora non funziona”.
[**Video_box_2**]Renzi, secondo il professore bocconiano, ha dimostrato di avere sufficiente forza da prendere decisioni drastiche in poco tempo: in un pomeriggio è stato decretata la trasformazione delle banche popolari in Società per azioni; misura attesa da vent’anni. Va detto che la revisione della spesa non è un mito, come si pensa. Cottarelli nel suo libro “La lista della spesa” (Feltrinelli), uscito dopo le dimissioni e il suo pronto ritorno al Fondo monetario internazionale, calcola che dal 2009 al 2013 la spesa primaria italiana si è ridotta del 10 per cento – pari a 70 miliardi di euro – in termini reali – ovvero al netto dell’inflazione – e si sarebbe ridotta molto di più se non fosse per il fatto che le pensioni in termini reali sono rimaste tali. Argomento valido per l’esecutivo alle prese con tagli sempre difficili da approfondire che però non deve valere come alibi.