Il ddl concorrenza e la disfida tra albergatori e Booking.com

Paolo Martini
Libero prezzo in libero albergo? Lo scontro-confronto tra Nucara (Federalberghi) e D’Amico (Booking)

Nei giorni scorsi la Camera ha approvato la legge annuale sulla concorrenza. Tra gli articoli, uno riguarda gli alberghi e i loro rapporti contrattuali con le piattaforme di prenotazione online, come Booking.com. Aggiunto al disegno di legge con un emendamento promosso da Tiziano Arlotti, un deputato del Pd nato a Rimini ed eletto in Emilia Romagna, dichiara “nullo ogni patto con il quale l’impresa turistico-ricettiva si obbliga a non praticare alla clientela finale, con qualsiasi modalità e qualsiasi strumento, prezzi, termini e ogni altra condizione che siano migliorativi rispetto a quelli praticati dalla stessa impresa per il tramite di soggetti terzi, indipendentemente dalla legge regolatrice del contratto”. E’ la cancellazione del cosidetto “parity rate”, il vincolo che il portale di prenotazioni online chiede all’albergo: vendo le tue stanze se mi prometti di non venderle a prezzi inferiori. A votare questa norma una ampia maggioranza trasversale che comprende Pd, Scelta civica, Sel, Forza Italia, Ala. Alessandro Nucara, direttore generale di Federalberghi, che raggruppa oltre 27 mila dei 34 mila alberghi italiani, esulta: “C’è più libertà. Piu libertà per le imprese, che potranno fare il prezzo che riterranno opportuno, per i consumatori, che potranno scegliere e anche per i portali, che potranno liberarsi di questa rendita di posizione di cui hanno usufruito. Dovranno metterci un po’ di pepe in più, e quando succede siamo tutti più bravi. La concorrenza fa bene a tutti”. Insomma, secondo Nucara, la norma, quando sarà approvata definitivamente – deve passare al Senato – porterà a un “mercato più efficiente”. Se un albergo vende una stanza a 100 euro con il portale online ne incassa diciamo 85, tolte le commissioni; se la vende a 90 senza portale ne incassa 90 e il consumatore spende meno. Sembra funzionare.

 

Andrea D’Amico, regional director di Booking.com per l’Italia, spiega però che la questione della “rendita di posizione” in realtà era già in parte superata: le autorità Antitrust di Svezia, Francia e Italia avevano nei mesi scorsi contestato a Booking.com i vincoli sulle offerte tariffarie e Booking.com aveva a quel punto annunciato che avrebbe rinunciato a tutti i vincoli tranne quello sulle vendite online. “La ragione è quasi ovvia: se un cliente trova online su Booking.com un prezzo e poi ne trova uno inferiore sul sito dell’hotel comprerà lì. Booking.com avrà investito risorse e a trarne beneficio sarà l’albergo, senza pagare alcuna commissione”. Per questo l’autorità Antitrust italiana il 21 aprile scorso, insieme alle autorità svedesi e francesi, annunciava di accettare gli impegni presi da Booking.com, che avrebbe potuto vincolare gli hotel a non praticare tariffe più basse solo sul proprio sito lasciando loro la possibilità di farlo con tutti gli altri sistemi di vendita, dal telefono al front desk agli altri canali online. Insomma: il cliente se vuole può spendere meno. Ma l’albergo, se vuole avere la visibilità che Booking.com garantisce, deve accettare almeno il limite della vendita dal suo sito. “Gli impegni offerti da Booking.com conseguono il giusto equilibrio per i consumatori in Francia, Italia e Svezia, ripristinando la concorrenza e, al contempo, preservando la fruizione semplice e gratuita dei servizi di ricerca e di comparazione, incoraggiando lo sviluppo dell’economia digitale”, scrivevano i presidenti delle tre Autorità. Non bastava? No. Risponde Nucara che quello dell’Antitrust è stato solo “un primo timido passo. Il mercato si sta spostando online e dire agli alberghi che non potranno vendere sul loro sito mi sembra anche un autogol. Questo è un confronto impari tra un colosso che muove 40 miliardi di euro l’anno e un signore, l’albergo, la singola struttura, che spara con la pistola ad acqua”. Booking.com è certamente un colosso: 10 mila dipendenti di cui 230 in Italia, 700 mila strutture alberghiere nel mondo, 90 mila solo in Italia. Ma è un colosso che ha portato lo scorso anno 7 milioni di prenotazioni di stranieri, che sono andati a dormire da altrettanti signori con la pistola ad acqua. Investendo milioni di euro in algoritmi e tecnologia, chiedendo agli albergatori una commissione tra il 15 e il 18 per cento e offrendo in cambio posizionamento, investimenti in decine di siti (dalle compagnie aeree alle società di noleggio auto) traduzioni in 42 lingue, assistenza al cliente 24 ore su 24. L’albergo non paga nulla fino a quando non c’è una prenotazione. “Pochi ricordano che la parità tariffaria è nata per volontà degli albergatori”, ricorda D’Amico. “Nel mondo del turismo prima della rete internet c’erano grossisti che compravano stanze da vendere ai tour operator che a loro volta vendevano alle agenzie di viaggio. Allora le commissioni – anche per il numero degli intermediari – arrivavano al 40 per cento, e soprattutto non c’era alcuna trasparenza sui prezzi. La parità costituiva per gli alberghi la certezza che indipendentemente dal canale di vendita, il prezzo sarebbe stato certo”.

 

[**Video_box_2**]E’ anche vero che parliamo di un altro mondo, come dice Nucara: “Prima c’erano due grandi poli: quello intermediato che era collettivo, fatto di viaggi di gruppo; poi c’era il non intermediato che era per il viaggio individuale. Oggi è diverso, l’individuale è molto spesso intermediato dai portali. Se tutto il mercato è intermediato le commissioni dovrebbero scendere, non salire”. Booking.com ha venduto la prima stanza in Italia all’inizio degli anni 2000, dal 2006 ha cominciato a operare direttamente sul nostro territorio e ha costruito la sua rete con il metodo tradizionale degli account manager che andavano a visitare l’hotel per proporre l’ingresso nella piattaforma. Quello che ci si potrebbe chiedere è che interesse avrebbe a rimanere in Italia se la legge passasse anche al Senato. D’Amico ridimensiona qualche titolo esagerato uscito nei giorni scorsi, quando si è letto della “minaccia di Booking.com” che sarebbe stata appunto “pronta” a “lasciare l’Italia”. “Saremmo stupidi se dicessimo che domani ce ne andiamo. Chi ha detto che minacciamo di levare le tende ci conosce poco”. L’impressione è che la battaglia di Federalberghi sia stata più simbolica (il turismo del Belpaese contro la multinazionale) che di sostanza. Implicitamente lo ammette anche Nucara: “Questa norma non è la panacea, perché – lo dico agli albergatori – se passa la legge l’albergo sarà più libero di fare il prezzo che ritiene ma se vorrà clienti dovrà investire, fare il sito più bello, avere personale più formato, e il portale dovrà offrire altri servizi”.

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