Roma stende tappeti rossi all'Iran

Gabriele Moccia
Fatti, nomi e indiscrezioni sulla visita di Rohani in Italia del 14-15 novembre. Chi è il negoziatore petrolifero Mehdi Hossein, cosa vuole l'Eni da Teheran e perché i Pasdaran fanno resistenza a cedere potere economico alle compagnie straniere.

Roma. Il prossimo 14 e 15 novembre, il presidente della Repubblica Islamica, Hassan Rohani, sarà a Roma per una storica missione diplomatica, la prima dal 1999, quando l'allora presidente Khatami incontrò Romano Prodi. Rohani, oltre ad incontrare Sergio Mattarella, il premier Renzi, forse – ma la diplomazia vaticana sta ancora lavorando – anche Papa Francesco (leggi qui il nostro editoriale) sarà accompagnato da una folta delegazione economica, tra cui il sui ministro del petrolio, Zanganeh. Gli iraniani, infatti, si incontreranno con il ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, e i capi azienda delle principali società italiane per affrontare i nodi legati al rilancio delle relazioni commerciali tra i due paesi, energia in primis, Eni compresa.

 

Di questo grande gioco energetico che coinvolge il regime ierocratico degli ayatollah, Mehdi Hossein è una pedina importante. Qualche mese fa, il presidente Rohani lo ha messo a capo del comitato per la ristrutturazione dei contratti petroliferi dopo l'accordo sul nucleare. Hossein ha davanti a se un lavoro enorme. La fine delle sanzioni ha aperto scenari economici nuovi per la Repubblica Islamica, i quali però passano in gran parte dallo smaltimento di un contenzioso legale legato ai crediti maturati dalle società petrolifere straniere (tra cui Eni) che l'Iran non ha ancora onorato. La National Iranian Oil Company (Nioc), per intenderci, deve a palazzo Mattei ancora 280 milioni di dollari per chiudere tutte le pendenze ma, come risulta al Foglio, la stessa Nioc sta nicchiando, cercando di non riconoscere alcune parti dell'accordo legale per poter arrotondare al ribasso la cifra pattuita.

 

A riguardo, rispondendo a chi gli chiedeva di un possibile "warning" della Casa Bianca alle principali compagnie petrolifere internazionali nel riprendere troppo velocemente le attività in Iran, il ceo del Cane a Sei Zampe, Claudio Descalzi, ha detto che tutte le attività nel paese sono quelle relativa e vecchi progetti di recupero crediti e che non sono, quindi, oggetto di moniti da parte di Washington. Ci sono poi i progetti e i contratti nuovi. Total, Bp, Eni e le altre società straniere, hanno chiesto al governo di Teheran di varare presto nuove condizioni contrattuali più incentivanti che prevedano il pagamento di sole tasse e royalties. Ai primi di ottobre, il presidente Rohani si è incontrato con il potente ministro del petrolio, Bijan Namdar Zanganeh, e altri membri del gabinetto per lavorare a nuovi interventi legislativi in materia, ma l'approvazione finale del nuovo Iran petroleum contract (inizialmente prevista a settembre) è slittata ancora una volta.

 

Le pressioni perché nulla cambi, o comunque affinché vengano garantite le rendite di posizioni già esistenti a livello interno sono forti, soprattutto quelle legate all'universo del corpo delle guardie delle rivoluzione. Come ha dovuto ammettere lo stesso Hossein, in un incontro riservato con gli investitori europei tenutosi in questi giorni a Londra, secondo cui non c'è nessuna opposizione del governo a far lavorare le aziende occidentali con le compagnie legate ai pasdaran. "Se le società internazionali vogliono lavorare con loro non abbiamo problemi", ha enfatizzato il funzionario, che ha poi aggiunto: "Non andremo ad interferire nei contratti tra aziende comunque private. I pasdaran hanno società di costruzioni che hanno acquisito esperienza". Attualmente, secondo la legge iraniana, chi acquista una concessione non può rimanere operatore anche nel periodo della coltivazione del giacimento ma deve cedere le attività alla Nioc che le rileva. Anche questo è un tema sollevato dalle compagnie straniere come precondizione per tornare a mettere i piedi in Iran: senza la possibilità di poter restare operatori anche dopo, gli investimenti già messi in campo vengono evidentemente messi a repentaglio.

 

[**Video_box_2**]Accade non di rado, poi, che la Nioc a sua volta le subappalti ad altre società, spesso proprio collegate alla holding delle guardie della rivoluzione, Khatam Al Anbia. La conglomerata, raggruppa centinaia di aziende che operano nel settore petrolifero, dalla fornitura di mezzi navali ed elicotteri per raggiungere le piattaforme offshore, a quelle che lavorano nella posa dei cavi. Un esempio? Il campo di Azedagan è la più grande scoperta di petrolio iraniano degli ultimi trent'anni: 26 miliardi di barili di riserve di greggio. Inizialmente, il contratto di sviluppo era stato vinto da una compagnia giapponese, la Inpex, poi è passato in mani cinesi, ma alla fine, nel 2014, la Nioc ha unilateralmente deciso di affidarlo ad una società iraniana, la Petroleum Engineering & Development Company, appartenente proprio alla galassia di Khatam Al Anbia. Pure dietro la recente cacciata dei francesi di Total dal blocco 11 del South Pars, un mega giacimento di gas nel Golfo Persico, sembra esserci lo zampino dei pasdaran. E così, se Zanganeh e Rohani, continuano a magnificare le potenzialità d'investimento – "l'era post-sanzioni è una vera e propria opportunità per la cooperazione tra le istituzioni iraniane e le compagnie internazionali" dice Zanganeh – c'è da chiedersi se l'allentamento del quadro sanzionatorio legato al patto viennese sarà una spinta per allentare le maglie dei pasdaran e degli altri potentati sull'economia, come lo stesso presidente iraniano auspicava ormai un anno fa, oppure, al contrario, sarà un altra occasione per rafforzare i loro affari.

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