Contratto della discordia
Fiat troppo distante e Cgil troppo vicina danno il tormento a Squinzi
Roma. Nel settembre 2012, quarantotto ore dopo la firma del Contratto collettivo nazionale del settore chimico, il segretario generale della Filctem-Cgil, Alberto Morselli, si dimise. Anche in un comparto caratterizzato da relazioni industriali per antonomasia “dialogiche” e “avanzate”, quell’accordo raggiunto con la Federchimica (guidata allora da Giorgio Squinzi) fu reputato in Cgil troppo “avanzato”. Tre anni dopo, nei giorni successivi alla firma del rinnovo dello stesso contratto nazionale dei chimici, la situazione sembra esattamente rovesciata, e a finire sotto osservazione è il leader della Confindustria Squinzi, questa volta per un accordo giudicato troppo “vecchio” da alcuni suoi colleghi. Ieri il dibattito a porte chiuse del Consiglio generale di Confindustria è stato relativamente ovattato, anche perché, dopo una prima mezz'ora di confronto sui contratti, il palco è stato ceduto a Yoram Gutgeld e il consigliere economico di Palazzo Chigi ha lungamente illustrato la legge di Stabilità.
Ma attorno a Viale dell’Astronomia non regna certo una calma piatta. “Detto in tre parole? Siamo a ‘Squinzi contro Confindustria’”, dice al Foglio, dietro garanzia di anonimato, un industriale che ha animato a lungo la vita associativa di Viale dell’Astronomia. Perché la chimica farà pure storia a sé in Italia, ma “il contratto stipulato rientra nel solito vecchio schema del contratto nazionale, costoso e con nulla di innovativo al suo interno”. Qualcosa di simile ha pensato Stefano Dolcetta, vicepresidente di Confindustria con delega alle relazioni sindacali, che negli scorsi giorni ha scritto a Squinzi per chiedere chiarimenti. Non sono critiche da poco, nel momento in cui il governo pare deciso a far avanzare con decisione la contrattazione aziendale. Per allineare produttività e salari, e non perdere così competitività nel mondo. Il pressing dell’esecutivo, finora, aveva creato difficoltà soprattutto ai sindacati. Di fronte alle divisioni dei rappresentanti dei lavoratori – anche all’interno della Cgil, con il segretario generale Susanna Camusso che è parsa inseguire il più mediatico e radicale Maurizio Landini della Fiom – perfino il dialogante Squinzi alla fine era sbottato. Lo scorso 6 ottobre il leader degli industriali aveva dichiarato che non c’erano più margini di trattativa con i sindacati a causa delle loro richieste irrealistiche, e che un accordo tra le parti sociali su rappresentanza e contrattazione aziendale era impossibile da trovare. Via libera all’intervento esterno del governo, dunque? “Avrei auspicato un’intesa tra le parti – dice al Foglio Giampaolo Galli, deputato del Pd e già direttore generale di Confindustria – Ora però il legislatore è legittimato a intervenire, magari con leggi di sostegno e di incentivazione visto che la contrattazione aziendale non si può imporre”.
[**Video_box_2**]Secondo i confindustriali più critici, Squinzi non ha tenuto fede alle sue recenti uscite mediatiche molto “renziane”. Aveva detto che i contratti nazionali in rinnovo avrebbero dovuto contenere riferimenti modernizzanti a produttività e livello aziendale per esempio. Dopo però, invece di tutelare Federmeccanica che rappresenta un settore labour intensive ed esposto alla concorrenza internazionale, ha lasciato che la “sua” Federchimica corresse verso l’embrassons nous con i sindacati. Emilio Miceli, segretario generale della Filctem-Cgil, al Foglio tesse le lodi di “un contratto nazionale della chimica che difende il potere d’acquisto dei salari e sposta il dibattito sulla produttività a livello territoriale e aziendale”. In Confindustria si chiedono come un’intesa simile possa essere coerente anche solo con le analisi del Centro studi che lamenta perdite continue di competitività. Mentre sullo sfondo incombe la battaglia per la successione a Squinzi (ieri Aurelio Regina è stato il primo a candidarsi pubblicamente su queste colonne) e da lontano s’intravvede un Sergio Marchionne che, fuoriuscito da Confindustria con Fiat nel 2012, dopo aver conquistato Obama, ieri ha convinto pure il 77 per cento dei dipendenti della Chrysler ad approvare il nuovo contratto aziendale.