Il welfare? Facciamolo in privato

Elena Bonanni
Intervista con Francesca Rizzi, fondatrice di Jointly, una piattaforma che permette alle aziende di condividere i progetti di welfare sia in ottica di condivisione dei costi e di ottimizzazione dell'organizzazione, sia in chiave propositiva per nuove iniziative favorevoli al dipendente.

Milano. Qualche giorno fa i dipendenti di Sace, Intesa Sanpaolo e Sea si sono collegati in diretta via streaming alla presentazione di un nuovo progetto pilota di welfare. L’adesione è stata decisamente alta: ha partecipato l’80 per cento degli invitati. Il tema? Il futuro professionale dei loro figli. Queste aziende hanno deciso di “aprire le porte” ai figli dei loro dipendenti per spiegare cosa cercano le aziende, qual è il lavoro dei genitori ma anche in cosa consistono le altre occupazioni. “L’obiettivo non è orientare i giovani ma fornire una serie di strumenti per fare scelte consapevoli”, ha spiegato al Foglio Francesca Rizzi, fondatrice di Jointly, la start up che ha promosso, facilitato e organizzato il nuovo progetto chiamato Push to Open che nasce con l’idea supportare i dipendenti delle aziende (al momento hanno aderito una decina di imprese) nel loro complesso ruolo di genitori offrendo ai figli un percorso di avvicinamento al lavoro. Nel frattempo, a riprova che il welfare si sposta da uno stato sfiancato dall'assistenzialismo alla contrattazione tra azienda e lavoratori, Eataly, catena di ristoranti e mall del cibo, raggiunto un accordo con i sindacati di categoria per un contratto integrativo che prevede un buono di 300 euro per la nascita di ogni figlio, di 200 euro per il matrimonio, e l'introduzione di 16 ore di permesso retribuito per l’inserimento dei bambini all’asilo nido.

 

Mobilità sociale fai-da-te

Non solo asili nido comunque. Il nuovo welfare nasce dalle esigenze delle persone ed è in grado di dare risposte ai tempi che cambiano. “La mobilità sociale e la necessità di ampliare gli orizzonti è stato uno dei temi emersi nella riunione – ha spiegato Rizzi – I ragazzi tendono anche in modo inconsapevole a replicare quello che hanno visto nella loro cerchia familiare. Push to Open non è però un corso di formazione ma un peer to peer learning: ragazzi trentenni mettono a disposizione il loro tempo a ragazzi di sedici anni, offrendo le proprie storie come spunto di riflessione. Per raccontare come sono approdati a fare quel mestiere, per far capire che esistono anche ipercorsi non lineari. Per parlare anche molto di auto imprenditorialità. Con testimonianze dal mondo degli incubatoi e delle start up. Diversamente dal passato, oggi non è più possibile passare tutta la vita in una azienda e i ragazzi devono sapere che cambieranno più lavori, che serve flessibilità”.

 

Una risposta al mondo che cambia. Che nasce dal basso. Dalle persone. E fa dell’azienda lo strumento principale dove realizzare il cambiamento. Attraverso modalità innovative che puntano a creare un sistema efficiente di collaborazione. “Jointly – dice Rizzi – è una piattaforma di condivisione in cui le aziende che aderiscono possono scambiarsi idee, esperienze, know how, condividere iniziative ed è nato dalla consapevolezza che anche le aziende più grandi e strutturate fanno fatica a dare risposte ai bisogni sempre più complessi delle persone”. Se un’azienda non riesce a riempire i posti dell’asilo nido (visto il calo delle nascite) può così condividere l’iniziativa con un’altra che non ha le risorse per farlo da sola. Oppure, come nel caso di Push to Open, può dare vita a un nuovo progetto che dia risposte a bisogni nuovi.

 

In questo cambio di logiche, anche i sindacati devono fare la loro parte per permettere a imprese e lavoratori di trovare il punto di incontro in cui è reciprocamente conveniente erogare beni e servizi di welfare privato. “Questi progetti si collocano a valle rispetto alla decisione delle aziende su come finanziare il welfare ma i sindacati sono un canale molto forte di comunicazione con i dipendenti, se non c’è allineamento questa parte va affrontata”, spiega Rizzi. “Ci deve essere sensibilità – ha aggiunto – Il tema è culturale, occorre fare un lavoro di consapevolezza reciproca comune in cui il benessere delle persone e benessere aziendale sono due temi collegati. E’ un discorso win-win, una logica diversa rispetto a quella del passato. Una volta che si arriva a questa consapevolezza poi è più facile”.

 

[**Video_box_2**]La catena welfare-lavoro-produttività

Sul welfare si giocherà così sempre più anche la partita della contrattazione aziendale. Diventando sempre più aziendale, il welfare dovrà infatti diventare sempre più parte integrante della contrattazione tra imprenditore, lavoratori e loro rappresentanti. Tre sono i modelli di finanziamento delle iniziative di welfare adottati in genere dalle imprese. Il primo fa riferimento all’approccio paternalistico del welfare assistenziale degli anni ’80 e ’90 in cui l’imprenditore decide unilateralmente cosa finanziare e che bisogni soddisfare. Spesso si tratta di grandi imprese familiari o pubbliche. Il secondo fa riferimento al rinnovo contrattuale: se il welfare è un bisogno della popolazione aziendale, si inseriscono nella contrattazione aziendale anche erogazioni in natura che riguardino il maggior numero di persone. Infine, c’è un modello intermedio, in cui il finanziamento di un’iniziativa di welfare non è scelto né unilateralmente né attraverso il rinnovo del contratto, ma è guidato dal recupero di produttività. In altri termini, i dipendenti aiutano a migliorare gli indicatori di produttività e l’azienda, con le risorse recuperate, finanzia i servizi di welfare. Un modello destinato ad avere spazio di crescita.

 

“In un  contesto di razionalizzazione ed efficientamento delle risorse – dice Rizzi – la contrattazione e il confronto con i sindacati anche sul welfare é importante per conoscere i bisogni specifici dei collaboratori per offrire servizi davvero utili ed apprezzati andando allo stesso tempo a trovare le risorse dove ci sono sacche di inefficienza o problematiche. Welfare-lavoro-produttività sono temi che vanno insieme”.

 

In questo quadro gioca un ruolo importante anche una leva fiscale che rispecchi l’evoluzione del paese e non rimanga imprigionata in logiche obsolete. “Nella legge stabilità ci sono due novità importanti per il welfare – conclude Rizzi – Da un lato l'incentivo alla contrattazione di 2 livello, che consente di personalizzare meglio i piani di welfare, che fino ad ora beneficiavano della leva fiscale solo se intesi come ‘elargizioni unilaterali’ dell'azienda. Dall'altro amplia  la gamma e l'ammontare dei servizi che possono beneficiare della leva fiscale”.

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