"Draghi ha fatto scendere la Bce in politica". Parla Issing
Otmar Issing, il "padre fondatore" della politica monetaria della Banca centrale europea, parla al Foglio al margine di una conferenza all'Università di Heidelberg. L'economista ne ha per Draghi, ma anche per Merkel che mette a rischio il contribuente tedesco.
Heidelberg. Settantanove anni, ex capo economista della Banca centrale europea dal 1998 al 2006, Otmar Issing arriva di prima mattina nella Neue Aula dell’Università di Heidelberg. Ad attenderlo, sabato scorso, c’erano circa centocinquanta persone, perlopiù studenti universitari, accorsi da ogni angolo della Germania per la Regional Conference degli European Students for Liberty, un’associazione studentesca transeuropea che si ispira ai valori del liberalismo. Il tema scelto per la relazione – “Dall’unione monetaria all’unione politica?” – offre a Issing l’occasione di tornare a riflettere, questa volta di fronte a un pubblico di non specialisti, sul futuro dell’integrazione europea, dopo i pamphlet di successo pubblicati nel 2008 e nel 2012. “Il punto interrogativo l’ho fatto aggiungere io”, si schermisce appena salito sul palco Issing, che certo non vuole passare per un sostenitore di un’ulteriore cessione di sovranità.
In piedi per quarantacinque minuti, l’ex membro del Comitato esecutivo della Bce ripercorre così la storia dell’integrazione europea, dalla Ceca, alla Cee sino alla crisi attuale, sottolineando come l’idea di un’unione politica non sia affatto una novità dei giorni nostri, ma sia stata rispolverata in molte occasioni, dagli anni 50 sino al Trattato di Maastricht, senza mai trovare attuazione. In particolare, dopo l’adozione dell’euro, l’idea che un’area economica e monetaria potesse sopravvivere senza organi politici legittimati democraticamente a prendere le decisioni che la riguardavano lasciò perplesso “il mio collega Tommaso Padoa-Schioppa, il quale cominciò a ripetere in giro che senza un’unione politica l’unione economica e monetaria era destinata al fallimento. Ricordo che un giorno all’Eurotower lo presi da parte e gli dissi: ‘Tommaso, ti prego, lascia stare. Non dire queste cose. Altrimenti là fuori penseranno davvero che, se non si fa l’unione politica, l’euro crolla’”. Eppure, conferma Issing, anche i tedeschi erano ben consci che l’assenza di adeguati meccanismi democratici a livello dell’Unione potesse minarne la stabilità. Era stato Helmut Kohl, ancora prima del crollo del Muro di Berlino, ad auspicare una moneta unica, ma soltanto come coronamento (Krönung) di un processo che consentisse prima di integrare le istituzioni politiche degli stati membri a livello sopranazionale. “Benché inizialmente le cose fossero incominciate bene – continua Issing – mi divenne presto chiaro che qualcosa non stava funzionando. Ce ne siamo accorti col passare del tempo. Nei paesi della periferia, come in Grecia e Portogallo, le retribuzioni sono aumentate più della produttività, senza che i governi nazionali adattassero le politiche economiche al nuovo contesto in cui ciascun paese non aveva più sovranità monetaria. L’euro ha così prodotto degli squilibri macroeconomici insostenibili, divenuti a tutti evidenti con la crisi greca del 2009”.
Che cosa c’entra tutto questo con l’unione politica? Semplice, spiega Issing: “Con la creazione di un’unione politica, sulla cui opportunità oggi non mi esprimo, difficilmente avremmo avuto una tensione così forte tra le condizioni definite dalle politiche economiche e monetarie dell’Unione e le politiche nazionali democraticamente scelte dai singoli Stati membri”. Anche Issing, insomma, è convinto che la crisi abbia messo a nudo gli errori di progettazione commessi negli anni 90. Che oggi si possa rimediare, però, la considera un’illusione da ingenui idealisti. “Non andrà così – chiarisce rispondendo a una domanda del Foglio – L’Unione non è certo destinata a essere riformata secondo l’auspicio del rapporto dei cinque presidenti. E’ del tutto irrealistico. Si parla di rivedere i primi meccanismi di funzionamento delle istituzioni politiche rafforzandole entro il 2017, proprio nell’anno in cui ci sono le elezioni in Francia e in Germania. Glielo dico io come andrà a finire. Non se ne farà niente, sono riforme che si scontrano con i limiti stabiliti dalle Costituzioni nazionali, in primis da quella tedesca. Si continuerà con il solito ‘muddling through’, con l’improvvisazione”.
[**Video_box_2**]D’altro canto, però, Issing è convinto che continuerà progressivamente la centralizzazione di competenze verso l’Unione: “La Transferunion, un’unione fondata sulla redistribuzione permanente di risorse da paesi virtuosi a paesi indisciplinati, è già oggi una realtà. Ma il rischio di continuare su questa strada, aggiungendo nuovi tasselli, come per esempio un sussidio di disoccupazione comune, è di rompere l’Eurozona. La tensione tra politiche economiche decise a Bruxelles e politiche decise a livello nazionale può produrre uno strappo letale”. Un’ultima battuta Issing la riserva a Mario Draghi, l’attuale presidente della Bce: “Quando ho lasciato la Bce mi sono ripromesso di non commentare più la politica monetaria dell’Eurotower. Però, devo dire che con il ‘whatever it takes’ Draghi ha ormai scelto di far giocare alla Bce un ruolo eminentemente politico. Se abbia stabilizzato l’euro? Non lo so, non credo che l’euro sia minacciato. Piuttosto lo sono alcuni paesi dentro l’euro”.