Telecom-media
Roma. C’è il grande Risiko delle telecomunicazioni: la fine della telefonia fissa, il tramonto di quella mobile, il trionfo degli smartphone, la separazione tra servizi ad alto valore aggiunto e trasmissione, la convergenza tra i media, e via via rivoluzionando. Gli operatori generalisti si ridurranno, la distruzione creatrice farà nascere nuovi soggetti specializzati. E’ il quadro dipinto sulla Repubblica da Alessandro Penati che ha anche offerto le sue soluzioni: spezzatino Telecom, fusione con Mediaset o con Rai, accordo con Amazon, vendita della rete, concentrarsi sulla banda veloce, ecc. ecc. La guerra di mercato per il controllo di Telecom Italia entra in questo macroscenario globale? E’ probabile e anche auspicabile. Nell’attesa, si è messo in moto un Risiko minore, decisamente provinciale, che ruota attorno a quel che potrà, dovrà, farà il governo.
I grandi giornali che fanno capo a grandi interessi organizzati, dal Sole 24 Ore al Corriere della Sera, dalla Stampa alla Repubblica, hanno già bussato alla porta di Palazzo Chigi. Consiglieri eccellenti, analisti, operatori, hanno fatto loro da sponda. Il presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi, dalle colonne del Corriere della Sera definisce “azionista amichevole” Xavier Niel, che ha incontrato tre giorni fa a Parigi, “cogliendo l’occasione” mentre rientrava da una missione all’estero. Recchi ritiene Niel, autore di un blitz che gli ha assicurato diritti sul 15 per cento del capitale, “un imprenditore molto competente” (la sua storia professionale lo dimostra), ma mette le mani avanti: “Se cambiassero i gestori dell’azienda il paese ha gli strumenti normativi e regolatori per proteggere i suoi interessi strategici”. Quali strumenti? Mario Monti nel 2012 aveva introdotto il golden power, cioè la facoltà di intervenire ad ampio raggio. Di fronte alla levata di scudi dell’Unione europea, le ambizioni neostataliste sono state ridimensionate: nell’agosto scorso Graziano Delrio, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha varato un decreto, tramutato in legge in ottobre, che ne limita i poteri. Intanto, sono riservati a settori di rilevante interesse per la sicurezza nazionale, e dalle telecomunicazioni vengono escluse le reti per l’accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale e dei servizi a banda larga. Inoltre, il governo può porre veti solo a soggetti non europei. In sostanza, può difendere Sparkle, la società di Telecom ad alta sensibilità strategica (tra l’altro passano attraverso i suoi cavi sottomarini le comunicazioni con Israele), non l’intera rete (anche se ci sono interpretazioni contrastanti), e non può bloccare Bolloré o Niel. Bisogna poi risolvere il problema della proprietà: un esproprio è costoso (la rete è stimata in 14 miliardi di euro) e rischioso perché il rame di Telecom Italia è la garanzia a fronte del debito che nel 2014 è arrivato a 34,5 miliardi secondo le stime di R&S-Mediobanca, rispetto a un fatturato di 21 miliardi di euro. Viene tirata per la giacchetta la Cassa depositi e prestiti attraverso il Fondo strategico, già coinvolto nel salvataggio di Saipem, violando la regola che vietava di investire in aziende in crisi e che lo ha tenuto (finora) alla finestra nel caso dell’Ilva di Taranto e dando fondo alle sue risorse attuali. I vecchi vertici della Cdp si sono opposti a un ingresso in Telecom Italia.
[**Video_box_2**]E i nuovi? Un paio di settimane fa il presidente della Cdp Claudio Costamagna a Parigi ha visto il patron di Vivendi. E c’è chi, anche nel governo, ripropone l’operazione Metroweb. La trattativa resta aperta, ha confermato Recchi. L’ostacolo principale è il controllo. Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini non volevano cederlo a Telecom. Le cose adesso potrebbero cambiare: se la Cdp vendesse la compagnia che gestisce la rete milanese a fibra ottica, diventerebbe azionista, sia pure con una piccola quota, della stessa Telecom. Ciò accontenta (forse) chi chiede un “presidio pubblico” e vuole stabilizzare l’assetto azionario. Ma non risolve lo scontro tra Bolloré e Niel. Gira e rigira, il governo potrà al massimo fare da supporto e chiudere la stalla quando i buoi saranno scappati. Come è sempre successo da quando nel 2001 Giuliano Amato cercò di mettere un limite a Electricité de France scesa in campo per controllare Edison.