Israele, Egitto, l'Eni e l'epopea del gas nel mediterraneo
Roma. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, non ha alcuna intenzione di perdere la sfida energetica per il Mediterraneo ingaggiata con alcuni paesi dell'area, Egitto in primis. Per questo motivo ha silurato in questi giorni il suo ministro dell'Economia, Aryeh Deri, dopo aver dato l'annuncio dello sblocco di un accordo da diversi miliardi di dollari con la compagnia energetica Noble, responsabile dello sviluppo dei giacimenti di gas di Tamar e Leviatano.
Deri, insieme ad una pattuglia di deputati della Knesset, era infatti il principale ostacolo all'intesa, fervido accusatore della Noble per i suoi comportamenti anticoncorrenziali e monopolistici che non ha mai mancato di denunciare, anche pubblicamente. Qualche giorno fa l'epilogo, in una tesissima riunione di gabinetto, Netanyahu – forte anche del recente incontro con l'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi – ha annunciato le sue dimissioni. Secondo alcuni si tratta di una vera forzatura, per procedere all'accordo per lo sviluppo dei giacimenti offshore con la Noble, i poteri del dicastero all'economia verranno trasferiti direttamente al primo ministro, soprattutto quelli in materia di antitrust che bloccavano le attività della compagnia americana. Netanyahu ha poi parlato dell'avvio di un piano ventennale che prevede l'esborso di parecchi miliardi di dollari.
L'obiettivo finale è sbloccare il potenziale di Leviatano, pari a 450 miliardi di metri cubi di gas, e del secondo giacimento di Tamar (300 miliardi circa). Secondo i tecnici della Noble, che lavora in tandem con una società israeliana la Delek, ci vorranno 4 anni per rendere operativo il giacimenti, ma i problemi legati alla sua messa a regime non riguardano solo le greppie legali e la battaglia messa in campo dall'ormai ex ministro Deri. Leviatano e Tamar sono pozzi complessi, molto profondi. Le difficoltà tecniche ci sono. Ma l'amministratore delegato della Noble, David Stover, si è dimostrato fiducioso e, nell'incassare la vittoria anche finanziaria (a seguito delle decisioni di Netanyahu le azioni della società Usa hanno guadagnato l'8 per cento), ha fatto capire di essere pronto a nuovi investimenti.
[**Video_box_2**]La cacciata di Deri è il segnale che lo scontro energetico nel Mediterraneo Orientale è salita di livello. Nonostante i principali attori internazionali lavorino affinché si arrivi ad una cooperazione nell'area, Israele sembra aver innescato una gara per raggiungere presto i successi egiziani e per non farsi fregare il pallino dell'iniziativa. A Tel Aviv non sono piaciute le recenti dichiarazioni libanesi sullo sfruttamento della propria zona economica esclusiva, da sempre contesa con Israele. In questo scenario l'Italia diventa una pedina importante. Non si sta fermando l'attivismo della principale compagnia energetica italiana, l'Eni. Descalzi, dopo la tappa a Gerusalemme, e volato in queste ore ad Algeri, per incontrare il primo ministro, Abdelmalek Sellal, il ministro dell'Energia, Salah Khebri e Amine Mazouzi il presidente della società nazionale di idrocarburi, la Sonatrach. A fronte di un rapporto industriale dalle radici profonde, a palazzo Mattei sembra emergere con forza l'esigenza di rendere il Mediterraneo un grande sistema energetico, un polo alternativo alla rivoluzione dello shale gas negli Usa da un lato e all'ormai decadente cartello dell'Opec dall'altro.