La festa dei consumi dice che la Cina sta cambiando forma
Milano. Un miliardo di dollari di fatturato nei primi otto minuti. E’ il record di acquisti online stabilito ieri mattina quando Alibaba ha aperto le porte del più grande supermarket virtuale del pianeta: 400.000 vetrine collegati per il Single’s Day, il grande giorno degli sconti (e dei falsi), per disputarsi i 25 milioni di acquisti dei consumatori cinesi per una cifra che sarà, a conti fatti, senz’altro largamente superiore ai 9,3 miliardi di un anno fa. Forse il doppio. Anche così si misura la lunga marcia dei consumatori, i nuovi protagonisti della mutazione di un’economia che gradualmente (ma non troppo) smette la tuta blu degli operai o le casacche dei contadini per adottare le abitudini di un’economia basata sui servizi. E sui consumi. Mica quelli dei super ricchi, fustigati dal nuovo corso del Partito che ha messo al bando Rolex e Champagne. Ma gli status symbol tradizionali della classe media, a ogni latitudine. L’auto, innanzitutto, che torna a tirare: 1,9 milioni di vetture vendute nell’ultimo mese, il 13,3 per cento in più, grazie al taglio delle tasse sulle utilitarie. O gli smartphone di Apple, sempre più dipendente dal mercato cinese al punto che il solo sospetto di una possibile frenata delle vendite a Pechino – adombrata da un report di Crédit Suisse che parla di una frenata degli ordini ai fornitori della Mela – si è tradotta in una perdita a Wall Street, martedì, per 20 miliardi di capitalizzazione.
Anche così si può descrivere la grande incognita cinese che grava sulla congiuntura globale. Ci sono ottime ragioni, a partire dalla sfida ambientale, per giustificare la svolta della politica economica di Pechino: dai tassi di crescita forsennata di inizio millennio, largamente superiori al 10 per cento, a uno sviluppo più sostenibile, oggi il 7 per cento, domani anche meno. Ma, nel breve e medio termine, la frenata cinese comporterà e già comporta una sensibile discesa della crescita mondiale, ormai sotto il 3 per cento secondo l’Ocse. La Cina costruisce meno case (l’indice delle nuove costruzioni è in calo da 44 mesi) e consuma meno acciaio, rame, alluminio e petrolio, a danno dei grandi produttori di materie prime che, a loro volta, riducono gli acquisti di beni di consumo in Occidente. Ne risente l’inflazione, compressa dal calo dell’energia ad un modesto 1,3 per cento così come la produzione industriale, che non si risolleva dai minimi di aprile (più 5,6 per cento), insoliti per un paese che ci aveva abituato a tassi a due cifre. La Cina che passa dal primato della manifattura ai servizi, insomma, solleva più di un’inquietudine come ha confermato, in maniera clamorosa, la decisione di settembre della Fed di rinviare l‘aumento dei tassi, per timore di un brusco stop dell’economia globale.
[**Video_box_2**]Una paura che torna a fare capolino, in attesa del prossimo vertice della banca centrale americana. Forse più in occidente che a Pechino, dove la Banca centrale, fa notare il Financial Times, che la Cina non solo sta facendo con diligenza i compiti per consentire l’ammissione dello yuan nel club dei diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale, ma che in questi mesi le vendite di titoli tedeschi detenuti dalla People’s Bank of China (per almeno un centinaio di miliardi) hanno garantito la materia prima indispensabile agli acquisti della Bce. Ma quel che conta di più, spiega l’analista di Cebm Group Wang Pei’an, è la strategia a lungo termine, ben testimoniata dalla decisione “storica” di consentire alle famiglie la nascita del secondogenito. Nel tempo, dice Wang, questa misura sarà in grado di aggiungere mezzo punto di crescita in più, con investimenti “leggeri” (dall’istruzione all’alimentare) e un beneficio futuro in termini di welfare. Ma perché la “metamorfosi” della società cinese abbia successo, occorre, tra l’altro, che i mercati finanziari possano garantire un’allocazione delle risorse più efficiente e meno soggetta agli appetiti della nomenklatura. Ne è consapevole il presidente Xi Jingping che, rivela il New York Times, lunedì ha riunito il Politburo per affrontare, forse per la prima volta nella storia di un Partito Comunista, il tema della riforma del mercato azionario e della lotta all’insider trading. Mica solo parole: dal 1° novembre è scomparso Xu Xiang, miliardario simbolo della Borsa di Shanghai, accusato di insider trading. Di lui non si sa più nulla salvo che, per un giornale vicino al partito, una perquisizione in casa della madre ha permesso di rintracciare 675 milioni di dollari in contanti. Intanto la polizia sta facendo ricetta di computer a Pudong, nella nuova City del Drago. Una purga vecchio stile per un nuovo obiettivo rivoluzionario: entro la fine dell’anno, assicura il ministero delle Finanze, potremo tornare ad ammettere nuovi titoli in un mercato finalmente “ripulito”.