Piano col pessimismo, l'innovazione crea posti di lavoro

Marco Valerio Lo Prete
Il dibattito americano (e non solo) sulla scomparsa della manifattura. E le tesi meno pessimiste di un economista come Enrico Moretti (Università di Berkeley), secondo il quale nel settore dell’innovazione è oggi impiegato il 10% dei lavoratori americani

Lunedì, come ogni settimana, è andata in onda "Oikonomia", la mia rubrica su Radio Radicale. A questo link trovate l'audio, di seguito invece il testo.

 

La scorsa settimana – comparando alcuni dati sul mercato del lavoro americano ed europeo – ho analizzato un dibattito in corso tra economisti e commentatori internazionali, quello sulla presunta scomparsa degli occupati nel settore manifatturiero, cioè la classica industria che fabbrica oggetti di consumo. Dietro ciò non c’è soltanto il rallentamento congiunturale dell’economia dopo la crisi del 2008: nel 1979 infatti c’erano 19,5 milioni di occupati nell’industria manifatturiera su 225 milioni cittadini americani di allora, oggi il numero di occupati nell’industria è di 12,3 milioni di persone su oltre 310 milioni di americani. Tra le ragioni di questo andamento ho già analizzato i notevoli aumenti di produttività pro capite dei lavoratori del settore manifatturiero; in secondo luogo, la trasformazione di società manifatturiere che un tempo erano verticalmente integrate e invece ora assegnano in outsourcing varie come funzioni come quelle di supporto amministrativo-logistico; infine abbiamo soltanto accennato all’aumento dei posti di lavoro legati all’innovazione tout court, a discapito della manifattura vecchio stile. In altre parole, nel 2007 gli sviluppatori di app per iPhone non esistevano ancora, ma nel 2011 – solo quattro anni dopo – Apple già incassava 15 miliardi di dollari per le sole app. Proprio di questa sfida radicale dei settori più innovativi alla manifattura parlerò oggi, rifacendomi in particolare alle analisti di Enrico Moretti, economista italiano all’Università di Berkeley in California.

 

Moretti, nel suo libro “La nuova geografia del lavoro” (2012), sostiene infatti che “mentre i posti di lavoro nell’industria continuano a scomparire, il settore dell’innovazione continua a crescere, apprestandosi a diventare quello che l’industria manifatturiera è stata negli anni 50 e 60: il motore principale della prosperità americana”. Il salto compiuto dal settore sarebbe tracciabile per esempio nel numero dei brevetti registrati ogni anno: attorno alle 400mila unità l’anno fino all’inizio degli anni 80, ha superato invece le 800mila unità l’anno nel 2010. Sempre nel 2010 le categorie più presenti tra i brevetti sono la farmaceutica, seguita da informatica, chimica, scienza dei materiali, strumenti scientifici, telecomunicazioni. Veicoli terrestri e metallurgia, cioè le prime due categorie collegate all’industria tradizionale, erano al 37esimo e 38esimo posto della classifica dei brevetti. All’inizio degli anni 90, in cima a questa classifica dei brevetti registrati c’erano ancora i costruttori di apparecchi fotografici e le case produttrici di prodotti tradizionali come macchine e televisori: Canon, Fuji, Kodak, tra le prime 10.

 

Tanta innovazione e poco lavoro, dunque? L’economista dell’Università di Berkeley esamina i dati di aziende che operano nei settori internet, software e bioscienze e arriva a una conclusione ben diversa. “Sulla base del dataset di imprese americane più completo che esista, raccolto dal Census Bureau, ho stimato che nell’ultimo decennio il settore Internet ha visto crescere i propri posti di lavoro del 634%, oltre 200 volte la crescita occupazionale fatta registrare dal resto dell’economia statunitense nello stesso periodo (e questa cifra non comprende i lavori legati a internet fuori dal settore hi-tech, come la consegna degli articoli acquistati online)”. Facebook, pur avendo una capitalizzazione di mercato pari alla metà di tutta la Borsa di Milano, non ha nemmeno 11 mila dipendenti in America, osservano i critici. Ma Facebook è solo una piattaforma e la maggior parte delle applicazioni che la rendono interessante sono state create da altre società, alcune delle quali, per esempio il produttore di giochi Zynga con la sua Farmville, per anni hanno avuto più dipendenti della stessa Facebook. Moretti osserva che “le società di software che realizzano applicazioni per il popolare social network hanno generato direttamente almeno 53.000 posti di lavoro, e indirettamente, nei servizi collegati, almeno altri 130.000”. Così secondo alcune stime un quinto della crescita conosciuta dall’economia americana tra il 2004 e il 2008 sia da ascrivere al solo settore di Internet.
Durante gli ultimi due decenni, inoltre, in America i posti di lavoro nel campo dei software sono aumentati del 562%, meno di Internet ma pur sempre 33 volte l’aumento registrato nel resto del mercato del lavoro degli Stati Uniti. Nel campo delle bioscienze, da cui dipende l’innovazione farmaceutica per esempio, la crescita occupazionale è stata del 300% in 20 anni. Infine si deve tener conto dell’advanced manufacturing, la sfera che va dalla robotica alla farmaceutica, dall’elettronica alla realizzazione di apparecchiature mediche d’avanguardia. Infine, oltre a scienza e tecnologia, ricordo che l’innovazione arriva a toccare campi disparati come l’intrattenimento, l’industrial design, il marketing e persino la finanza.

 

[**Video_box_2**]E’ contando tutto ciò che Moretti stima come nel settore dell’innovazione sia oggi impiegato il 10% dei lavoratori americani. Con una notazione dello stesso economista: “Anche se il loro numero è in forte aumento, si tratta di un settore che non arriverà mai a impegnare la maggioranza della forza lavoro. (…) Anche l’industria manifatturiera però, nel suo momento di massima espansione, arrivò a impiegare non più del 30% della forza lavoro americana”. Spiegherò nella prossima puntata il perché di questo “tetto”, oltre ad approfondire perché comunque è dall’innovazione ampiamente intesa che dipende larga parte della prosperità di un’economia, non soltanto nei settori di frontiera.

Di più su questi argomenti: