Ripresa sempre incerta
Terrorismo, banchieri centrali e strani Whatsapp. E' gara a stregare i mercati
Roma. Agli occhi degli investitori, ancora oggi, pesa più la battaglia ingaggiata da Mario Draghi contro l’inflazione europea troppo flebile che non gli attentati terroristici – pur virulenti ed eclatanti – come quello di venerdì scorso a Parigi o di ieri in Mali. “I mercati appaiono in ottima forma e rimangono concentrati sulle loro occupazioni di sempre – per usare le parole di Alessandro Fugnoli, strategist del team Kairos – cioè tassi, Quantitative easing e utili”. Ieri Piazza Affari stava meglio di una settimana fa, come pure l’indice Euro Stoxx 50. Il presidente della Banca centrale europea, Draghi, ieri ci ha messo del suo per stregare gli operatori: “Se decideremo che l’attuale traiettoria di politica monetaria non è sufficiente a raggiungere l’obiettivo (di stabilizzare l’inflazione vicino al 2 per cento, ndr) – ha detto a Francoforte intervenendo a un convegno – allora faremo quello che dobbiamo per aumentare il livello dei prezzi quanto più velocemente possibile”.
“We will do what we must” sembra una di quelle formule pensate per annunciare ai mercati grandi svolte della politica monetaria in arrivo. Come il “whatever it takes” del luglio 2012 che anticipò lo scudo anti spread (Outright monetary transactions), oppure il primo “we will do what we must” del novembre 2014, arrivato due mesi prima di annunciare la creazione del programma di acquisto di titoli di stato e altri asset (Quantitative easing, Qe) ancora in corso. Questa volta, in vista della riunione della Bce che si terrà il 3 dicembre, Draghi apre a un rafforzamento del Qe, o prolungandone fin da ora la scadenza, o aumentandone la portata, o mutandone la composizione, o tutte e tre le cose assieme. D’altronde due giorni fa, nelle minute della riunione della Bce dello scorso 22 ottobre, è comparso per la prima volta in maniera ufficiale l’aggettivo “deflazionistico”, riferito a uno scenario con prezzi che scendono in terreno negativo. A mali estremi, estremi acquisti di asset. La pensa all’opposto Jens Weidmann, governatore della Bundesbank, che ieri ha parlato subito dopo Draghi, rubricando la “politica monetaria” in fondo alla lista delle leve utili a puntellare la ripresa, e mettendo in guardia da altre misure straordinarie. Weidmann stavolta ha giocato la carta dell’ottimismo: “Non vedo ragioni per tratteggiare uno scenario fosco”.
Possibile che agli occhi dei mercati nemmeno i rigurgiti terroristici riescano a rubare la scena ai banchieri centrali? Sì, possibile. Per l’analista Fugnoli, infatti, esistono almeno due regole generali sul nesso violenza-mercati: “La prima è che i conflitti endemici e gli attentati occasionali non influenzano la tendenza in corso”. Lo dimostrano le cadute borsistiche dopo gli attacchi a New York (2001), Madrid (2004) e Londra (2005), prontamente recuperate nei giorni successivi. “La seconda regola è che l’attesa di un conflitto, facendo da spada di Damocle, può fare più male del conflitto stesso”. E nel caso attuale, scrive lo strategist di Kairos, “è evidente che i mercati non credono all’ipotesi di una guerra tradizionale in preparazione contro lo Stato islamico”. L’economista Giorgio Arfaras, nella sua newsletter per il Centro Einaudi, concorda: “L’esperienza ad oggi – attentati maggiori ma infrequenti, oppure attentati minori e frequenti – mostra che gli attentati non sono in grado di far deragliare l’economia”.
[**Video_box_2**]Il “capitale fisico” può essere intaccato da un attentato, ma solitamente – continua Arfaras – sorge “nuova domanda per edifici, computer e sistemi di sicurezza che può compensare la minore domanda” post trauma. Più difficile misurare l’impatto sul “capitale umano”, visto che entrano in gioco paura e aspettative degli individui. E’ anche per questo che ieri il premier Renzi è voluto intervenire pubblicamente per rispondere a una sorta di catena di Sant’Antonio via Whatsapp accusata di diffondere inutili allarmismi. Ma per il momento è sempre Draghi a tenere in pugno i mercati europei.
tra debito e crescita