Banche “uberizzate”
Roma. Fino a sette anni fa le istituzioni bancarie erano viste come il principale motore della crescita globale, ora sono sotto pressione da diversi punti di vista. La reputazione è compromessa, la redditività è compressa, l’elefantiasi deve essere ridotta, e soprattutto i regolatori internazionali sono passati a una vasta offensiva che crea incertezza. Il cliente sembra essere stato lasciato a margine del discorso sul futuro della banca mentre si moltiplicano i servizi digitali che hanno l’obiettivo di bypassare la mediazione degli istituti tradizionali e facilitare soprattutto le operazioni di prestito – pilastro dell’industria bancaria – tra persona e persona o gruppi di persone e aziende. Non si parla solo di prestiti ma anche di investimenti in azioni e altro. Cosa ciò comporterà per l’industria finanziaria nel prossimo futuro è da capire: il moltiplicarsi di piattaforme digitali del credito è un effetto passeggero frutto dell’iper-regolamentazione bancaria? Vuol dire che le banche dovranno spendere più energie per tornare a fare le banche e non disperderle ancora in speculazioni finanziarie? Oppure è la spia dell’inizio di un lento declino del settore bancario per come l’abbiamo conosciuto nel XX secolo?
Di certo nel prossimo decennio il mondo assisterà a una trasformazione radicale delle banche e dell’industria degli investimenti, quella che il Wall Street Journal ha chiamato “uberizzazione” della finanza paragonando i nuovi attori digitali del credito a Uber. Come la popolare applicazione ha disintermediato il trasporto urbano dalle centrali del corporativismo dei tassisti, così le decine di nuovi servizi nascenti possono insidiare l’attività bancaria che è in assoluto quella più mediata del pianeta. I nuovi nati sono qui per competere e non faranno sconti ai banchieri. C’è una moltitudine di attori nell’industria finanziaria digitale che si è aggiunta alle piattaforme di prestiti Lending Club e Prosper nate almeno dieci anni fa. Nel 2014 sono stati erogati prestiti per 7 miliardi di dollari, una cifra infinitesimale rispetto ai multi-miliardi erogati dalle banche tradizionali, ma che è destinata a crescere fino a 150 miliardi entro il 2025 secondo le stime di PriceWaterHouseCoopers, una società di consulenza. Giles Andrews ha fondato Zopa, popolare piattaforma di credito peer-to-peer, e ritiene sensato sostenere che il banking digitale riuscirà a contendere alle banche il 20-30 per cento della quota di mercato nel credito al consumo. C’è una fetta di utenti cresciuta con lo smartphone incollato al palmo, una generazione di giovani adulti cosiddetti “millennial”, che ha sviluppato un’allergia ai banchieri e all’intero settore e non vedrebbe l’ora di potere fare a meno dei loro servizi. Società come Sofi si sono specializzate nei prestiti individuali a costi contenuti indirizzati agli studenti, oltre ad avere appena fatto ingresso nel mercato dei mutui immobiliari. La questione generazionale va oltre gli utenti e investe anche gli operatori. I banchieri rapaci non sono più un mito per i giovani delle business school. Un sondaggio del Financial Times ha rivelato che sono sempre meno i diplomati nei dieci migliori corsi post-laurea in management and business administration che vogliono andare in una banca d’affari mentre aumentano quelli interessati alle start-up digitali. Le persone di talento non aspirano più a essere i nuovi Richard Fuld, volto del fallimento Lehman Brothers, affondato insieme al suo fardello di derivati. Le attività speculative sono anch’esse sotto scacco della “new wave” del banking digitale. Stanno nascendo advisor che offrono al cliente soluzioni di investimento bilanciate e poco rischiose generate da algoritmi per una frazione delle commissioni solitamente richieste.
[**Video_box_2**]E’ il caso di Betterment, Wealthfront, Personal Capital. Anche qui la mole di asset in gestione è ridicola rispetto all’enormità dell’industria di gestione dei patrimoni, ma è pur sempre l’alba di una nuova epoca. In tempi di ristrettezza del credito trovano spazio le piattaforme di crowdfunding che raccolgono potenziali investitori interessati a precisi progetti imprenditoriali. Kickstarter e Indiegogo sono i più noti ma ne stanno emergendo altri che danno la possibilità di partecipare ai guadagni diventando azionisti dell’azienda che hanno contribuito a fare nascere: Seedinvest e Fundable trasformano un individuo in un private equity in sedicesimi. In Italia la rivoluzione digitale è all’attenzione dei banchieri. Nel 2014 la quota di attività via web ha superato quella via agenzia salendo al 52 per cento dal 47 dell’anno precedente, secondo i dati dell’Abi. Nell’Associazione bancaria c’è la consapevolezza che saranno necessari investimenti nel digitale, che incombono rischi regolatori di cui tenere conto e che nel paese con più sportelli che farmacie ci saranno contraccolpi occupazionali cui fare fronte riqualificando i dipendenti. Intanto è nata la prima non-banca digitale, Tinaba, fondata dal fondo Sator (che è anche azionista del Foglio). Tinaba è una piattaforma che rende gratuiti alcuni servizi bancari che oggi sono a pagamento, come ad esempio microcredito, micropagamenti, crowdfunding e servizi dedicati alla famiglia. Altra crepa (italiana) nel banking “as we used to know it”.