L'ad dimissionario di Ferrovie dello Stato Michele Mario Elia (foto LaPresse)

Animal spirits sui binari

Rottamare i manager non basta a far arrivare la privatizzazione in orario

Francesco Forte
Le ipotesi minimaliste per fare cassa con Fs e il dibattito (che non c’è) sulla necessaria quotazione della rete

Ferrovie dello Stato (Fs) andrà in Borsa con un nuovo management: dopo la decisione dell’esecutivo che la scorsa settimana ha avviato il processo di privatizzazione, ieri il cda della società – compresi il presidente Marcello Messori e l’ad Michele Mario Elia, nominati nel maggio 2014 da un governo Renzi fresco d’insediamento – ha rassegnato in blocco le sue dimissioni. La sostituzione dei vertici del gruppo potrà avere pure buone ragioni, ma non è detto che i successori perseguiranno una linea migliore rispetto alle due che si sono confrontate finora e favorevoli alla parziale privatizzazione. Infatti la soluzione accolta per ora in linea di massima, quella di quotare solo la compagnia che gestisce i trasporti sulla rete (Fs) e non anche la rete (cioè Rfi, controllata al 100 per cento da Fs), è inadeguata. Ma ancora meno soddisfacente sarebbe stata la soluzione di quotare la compagnia globale, impedendo di fatto una quotazione in Borsa della sola rete separatamente dalla compagnia di trasporto.

 

La struttura verticale è tipica di chi esercita un esteso monopolio del settore delle pubbliche utilità. Contro la quotazione sul mercato della rete ferroviaria, si cita l’esempio negativo della privatizzazione inglese (poi rivista). Ma tale riferimento è fuori luogo. Innanzitutto la rete ferroviaria del Regno Unito è stata interamente privatizzata, mentre ciò di cui dovremmo discutere è la quotazione in Borsa di una compagnia pubblica, il cui controllo rimane allo stato, ossia una formula come quella adottata per Eni e per Enel (con una quota pubblica di controllo maggiore, almeno in un primo tempo). Inoltre nel caso inglese la privatizzazione della rete si è accompagnata al suo spezzatino. Molti problemi nascono da questa situazione che comporta la perdita di economie di scala e di rete. Non voglio qui discutere sul fatto che, per quanto riguarda la società di trasporto ferroviario statale, la quota messa sul mercato non è così grande come sarebbe possibile, pur mantenendo il controllo pubblico e come sarebbe desiderabile per la sua deburocratizzazione e per l’investimento finanziato da privati. Il tema più importante, ai fini del mercato, riguarda l’immissione in Borsa della rete, con una quota importante agli azionisti interessati al rendimento. Ciò infatti stimolerebbe il suo utilizzo da parte di concorrenti dell’operatore statale del trasporto, sia per i servizi locali, a cura di società private e regionali, sia per quelli d’alta velocità e lunga distanza, in concorrenza con lo stato.

 

[**Video_box_2**]Questo maggior utilizzo della rete ferroviaria statale, attualmente in parte sottoutilizzata e in parte obsoleta, non solo è nell’interesse degli azionisti di Borsa e del pubblico che ha bisogno d’un servizio più adeguato e più articolato sul territorio. E’ anche nell’interesse della compagnia che controlla la rete e dello stato che le dà le linee guida e vi deve metter denaro per gli investimenti. Infatti, lo sviluppo dell’utilizzo della rete, valorizzando le azioni della compagnia, ne facilita gli aumenti di capitale e l’investimento, con i soldi del mercato.