Il Qe2 parte senza il botto
Draghi aggiunge nuovi stimoli ma non appaga la fregola dei mercati
Roma. La Banca centrale europea aveva forse generato aspettative eccessive tra gli investitori nelle passate settimane circa le nuove misure di stimolo che avrebbe approvato nell’ultima riunione del direttivo di quest’anno. Fino a ieri molti gestori avevano ipotizzato un’azione molto aggressiva: estensione del programma di Quantitative easing (Qe) attraverso l’aumento degli acquisti mensili di titoli pubblici e privati per un arco di tempo più lungo di quanto preventivato. Una nuova ondata di stimoli capace di risollevare un’inflazione terribilmente bassa nella stagnante economia dell’Eurozona.
Tuttavia le decisioni comunicate da Mario Draghi sono risultate al momento deludenti rispetto a tali aspettative. L’indice Eurostoxx50 che rappresenta le maggiori società dell’Eurozona ha perso il 3,2 per cento dopo la conferenza stampa. I mercati spesso ascoltano solo quello che vogliono sentire e ignorano quello che ritengono opportuno. Dopodiché Draghi ha comunicato con eccessiva enfasi, nella testa dei mercati, le sue prossime mosse che, almeno a sensazione, avrebbero dovuto essere iperboliche. Probabile che il presidente della Bce si stia comunque muovendo in maniera graduale verso “tutto quello che dobbiamo fare per aumentare l’inflazione il più velocemente possibile”. Cosa si è deciso? Le banche pagheranno più di prima per depositare denaro in Bce – il tasso di sconto è passato da meno 0,2 a meno 0,3. Il taglio non è stato drastico. La mossa contraddice le indicazioni precedenti della Bce (“i tassi sono al minimo”) per incoraggiare il disgelo in corso nel mercato creditizio spingendo le banche a erogare più prestiti. Il programma di acquisto di titoli è stato esteso nel tempo – dal settembre 2016 al marzo 2017 e “oltre se sarà necessario”, finché l’inflazione oggi quasi a zero non tornerà vicina al 2 per cento – ma non in quantità (60 miliardi al mese). La Bce intende poi reimpiegare i profitti ottenuti dall’investimento anche dopo il 2017.
La Bce ha deciso di includere nel programma di acquisto di asset pubblici i titoli di debito emessi dagli enti locali della zona euro; mossa anticipata rispetto alle indiscrezioni circolate alla vigilia che davano come possibile tale scelta a marzo dell’anno prossimo. Sono in circolazione circa 500 miliardi di dollari di bond municipali e regionali, dice il database Thompson Reuters. Le regioni hanno venduto 76 miliardi di dollari in bond durante l’ultimo anno. La città di Parigi per esempio ha ricevuto finanziamenti per 4 miliardi di euro nel complesso e di recente ha emesso un bond da 300 milioni di euro. A beneficiare particolarmente della scelta sarebbero i governi locali tedeschi che hanno venduto bond per centinaia di miliardi e hanno un sostanziale dominio del mercato. Ovviamente potrebbe essere utile anche all’Italia o alla Spagna dove ci sono possibilità di fare acquisti. Le decisioni prese ieri dal direttivo della Bce non sono state accolte all’unanimità ma da una “larga maggioranza” dei membri. Cinque membri del consiglio direttivo su 25 – Weidmann, i banchieri centrali di Paesi Bassi, Estonia, Lettonia –
Even then, as many as five of the 25 Governing Council members failed to support Thursday’s decision, according to people familiar with the matter.
[**Video_box_2**]Per la Bundesbank gli stimoli di Draghi dovrebbero avere vita limitata (e breve) visto anche che i titoli pubblici degli stati che Draghi potrebbe acquistare non abbondano. Tanto che è stata la Cina a mettere sul mercato i suoi Bund, titoli pubblici tedeschi, affinché la Bce potesse comprarli. Ora con i bond municipali diventati idonei all’acquisto la situazione cambia e il Qe può proseguire seguendo una lista un po’ più ampia di asset acquistabili (che non sono problematici come le obbligazioni aziendali o i titoli azionari). Nel frattempo in America la Federal Reserve sembra determinata a cominciare la stretta monetaria, invertendo marcia dopo un decennio di politica iperaccomodante. Nella riunione del 15-16 dicembre è probabile l’annuncio di un primo rialzo dei tassi. La divergenza delle traiettorie dei tassi tra America ed Eurozona – la prima alza, la seconda abbassa – sembra spingere i fondi di investimento in cerca di rendimenti dei titoli del Tesoro più remunerativi a preferire gli Stati Uniti. Il rischio è una migrazione degli investimenti privati. Nel terzo trimestre 2015, quando la Fed aveva lanciato inequivocabili segnali, dei 49,8 miliardi di bond comprati dai fondi di investimento solo 2,9 miliardi sono stati emessi nell’Eurozona mentre gli acquisti di titoli emessi negli Stati Uniti sono stati più alti del solito (41, 27, 30 miliardi nei primi tre trimestri rispettivamente rispetto a una media di 15,6 dal 2009). Resta da vedere come la Bce da forza votata a spronare la ripresa di un continente destabilizzato da conflitti, terrorismo, immigrazione – cose che motiveranno aumenti di spesa pubblica e incertezza tra gli operatori – riuscirà a irrobustire la sua credibilità presso i mercati finanziari.