Un tumultuoso vertice Opec arrangia un compromesso tra sauditi e iraniani

Gabriele Moccia
La decisione dell'Opec di mantenere il tetto della produzione di petrolio a 30 milioni di barili al giorno è stata l'unica soluzione per non scontentare nessuno e non minare l'esistenza del cartello dei paesi produttori di greggio. Cronaca da Vienna

Vienna. La decisione dell'Opec (il cartello dei paesi produttori di petrolio) di mantenere il tetto della produzione a 30 milioni di barili al giorno alla fine è stata l'unica soluzione per non scontentare nessuno e per non mandare in frantumi la seppur fragile coesione attualmente esistente nell'organizzazione. L'innalzamento del tetto a 31 milioni (ipotesi inizialmente paventata) avrebbe rappresentato una vittoria troppo netta per l'Iran, il principale oppositore della linea saudita dentro l'Opec.

 

Quello apertosi oggi a Vienna è stato un vertice Opec tumultoso. A palazzo Hofburg è andata in scena una resa tutta interna in merito alle sorti future del mercato del greggio controllato dall'organizzazione. I dodici membri (tredici da ieri con la riammissione dell'Indonesia) si sono trovati così in uno stato confusionale, fino all'ultimo nei corridoi dell'Opec e in vari alberghi della città si sono susseguiti per tutto il giorno incontri più o meno informali per cercare di tentare di trovare una quadra tra le varie 'fazioni' in lotta tra di loro.

 

Lo scontro su una riduzione comune e concordata della produzione di greggio ha visto da un lato l'asse saudita-paesi del Golfo e dall'altro una fronda sempre più numerosa guidata principalmente da Iran, Venezuela e Algeria. I membri africani, tra cui la Nigeria e l'Angola,  si sono rivelati decisivi per spostare le sorti del voto finale. Le posizioni di partenza. Tutti avrebbero dovuto ridurre la propria produzione per cercare di rialzare il prezzo del petrolio, ma non è piaciuta la mossa dell'Arabia Saudita – che ha continuato in questi mesi a sforare e produrre in aumento (10 milioni di barili al giorno) – di aver fatto trapelare in anticipo alla stampa un proprio piano controverso: una proposta di bilanciamento dell'output che prevedeva un taglio della produzione per tutti i membri di 1 milione di barili al giorno.

 

[**Video_box_2**]Il ministro del petrolio saudita, Ali-Naimi si è affrettato a smentire l'esistenza di una tale proposta, ma secondo alcuni analisti presenti al summit, si è trattato di una vera mossa tattica con cui Riad ha cercato di spaccare la dissidenza, in particolare isolare l'Iran. Infatti, se per la Repubblica Islamica la vera priorità era quella di cercare di mantenere gli obiettivi di aumento della produzione fissati sulla base della roadmap dell'alleggerimento delle sanzioni - "è un nostro diritto, non accettiamo nessuna discussione sull'aumento della produzione iraniana dopo la revoca delle sanzioni", ha detto chiaramente il ministro del petrolio iraniano, Bijan Zanganeh - per paesi come il Venezuela e l'Algeria il vero tema da risolvere era quello relativo al prezzo del petrolio (in gergo break-even price) che deve risalire almeno sotto i 60/70 dollari al barile per ritornare  a sostenere le economie locali. Prendiamo ad esempio il Venezuela, che chiedeva invece un taglio dell'offerta. "L'eccesso di offerta che abbiamo dentro l'Opec finirà per portarci alla catastrofe", sottolinea il ministro del petrolio venezuelano Eulogio Del Pino. Il ministro è arrivato a Vienna accompagnato da pressioni fortissime da parte del presidente venezuelano Nicolas Maduro, che domenica dovrà affrontare una difficilissima tornata elettorale (secondo i suoi oppositori sarebbe addirittura pronto al golpe) e per questo a chiesto a Del Pino di tornare a tutti costi con qualche risultato in tasca. 

 

Altro paese profondamente colpito dal crollo dei prezzi del petrolio è l'Algeria che nel 2015 dovrà affrontare un deficit di bilancio che mette in seria difficoltà la sua economia. Il governo algerino ha iniziato una lotta contro il tempo per aumentare la produzione di greggio nazionale. Secondo quanto ha riportato il giornale algerino El Khabar, il premier Abdel Malik Sellal ha dato di recente indicazioni alla compagnia petrolifera nazionale Sonatrach di affrontare le forti perdite causate dal crollo del prezzo del petrolio, aumentando la produzione di greggio. Alla fine l'abbocco saudita non è riuscito del tutto, perché mantenere la produzione ai livelli attuali è comunque una panacea per molti membri, come visto, ma alla fine Naimi è riuscito almeno a contenere i danni e, soprattutto, a non perdere la faccia. Il vero vincitore è, però, il ministro del petrolio iraniano Zanganeh, che è arrivato a Vienna con le idee chiare e da subito ha puntato i piedi per avere il via libera per spingere al massimo la produzione della Repubblica Islamica. Ci è riuscito – almeno in parte – forte dell'appoggio di due alleati energetici che hanno pesato parecchio al tavolo delle trattative viennesi, pur non essendo membri del cartello: Cina e Russia. Zanganeh ha fatto valere la sua forza contrattuale derivante dal rinnovo dei contratti di esportazione con Pechino avvenuta qualche giorno fa  che ha spezzato i sogni sauditi di puntare sullo sviluppo del mercato asiatico e ha poi messo sul piatto una stabile partnership con il Cremlino. I russi hanno fatto di tutto per appoggiare la linea iraniana durante il vertice Opec, vista la durissima battaglia commerciale che Rosneft e le altre compagnie statali russe hanno ingaggiato con i sauditi e i regni del Golfo per il controllo del mercato europeo.
 

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