Verità, un'obbligazione subordinata
Tutti gli strafalcioni ansiogeni di giornali e politici sul Salva banche
Roma. “Mi piace quando nei racconti c’è un senso di pericolo o di minaccia”, scriveva Raymond Carver nei suoi “Consigli per scrivere onestamente”, raccolti in italiano da minimum fax. L’autore americano si rivolgeva ai colleghi, scrittori di racconti. Eppure in Italia, nei giorni del crac di quattro piccoli istituti di credito salvati per i capelli dal governo, quel “senso di pericolo o di minaccia” sembra piacere anche a tanti di coloro che “onestamente” si occupano della sorte degli istituti di credito. A partire da Elio Lannutti, vulcanico presidente dei consumatori di Adusbef, che ieri definiva così il meccanismo di “bail-in”: “Dal 1° gennaio 2016 avverrà l’esproprio criminale del risparmio, con il cosiddetto ‘bail-in’. Nessuno è più al sicuro perché se un istituto fallisce o gestisce male deve pagare”. Finora a rischiare era il contribuente medio, nelle cui tasche si sono sempre pescate le risorse per i “bail-out” bancari. Da gennaio effettivamente il mondo cambia, specie per azionisti e obbligazionisti di banche in fallimento (non proprio numerose). D’ora in poi l’onere è su chi investe in un istituto di credito pencolante, mentre rimane sempre e comunque la salvaguardia (come oggi) sui depositi sotto i 100 mila euro. Tutto ciò è forse “criminale”?
Il “senso di pericolo e di minaccia” è massimo quando, nel dibattito pubblico, si finisce per strumentalizzare, in un senso o nell’altro, il suicidio delle persone. Come successe già al tempo degli esodati, nel 2012: allora, nella categoria di chi si era visto allontanare il traguardo della pensione dalla riforma Fornero, finirono (strumentalmente) decine di migliaia di over 55 semplicemente disoccupati. Oggi la sorte tragica di Luigino D’Angelo, che aveva investito in obbligazioni subordinate di Banca Etruria e che è morto suicida il 28 novembre scorso, è stata attribuita esplicitamente alle massime autorità politiche e istituzionali del paese, oltre che ai dirigenti dell’istituto di credito. Dopo le ricostruzioni delle prime ore, in cui si era parlato di un funzionario che avrebbe fatto di tutto per vendere le obbligazioni al signor D’Angelo, in modo da sostenere il processo di ricapitalizzazione dell’istituto aretino, da domenica l’Ansa ha raccolto un’altra versione dei fatti. I titoli in possesso dell’investitore sarebbero stati emessi nel 2006 e da lui acquistati all’inizio del 2013 sul mercato secondario. S’incrina dunque la teoria della “spinta” dell’istituto sull’onda della necessaria ricapitalizzazione avvenuta a crisi in corso.
La Stampa di Torino, ieri, citava pure il caso “dell’aretina 90enne, titolare di pensione sociale minima che secondo i media avrebbe perso i risparmi di una vita pari a 75 mila euro in obbligazioni subordinate che la banca le aveva proposto (e poi sottoscritte effettivamente dal fratello), sembra che la donna sia titolare nello stesso istituto di conti per centinaia di migliaia di euro e proprietaria di molti immobili”. Insomma, il timore era che il crac delle quattro banche salvate provocasse un panico finanziario e la corsa agli sportelli, in realtà è accaduto qualcosa di simile che ha però riguardato il mondo dell’informazione più che quello bancario. Lo choc per i risparmi bruciati ha creato una situazione di panico mediatico con la diffusione massiccia di cifre, numeri e fatti non sempre verificati e in cui è stato impossibile nella confusione totale distinguere risparmiatori truffati da investitori imprudenti. Non si tratta di minimizzare a ogni costo, fatto sta che sulle poco più di 12.000 persone in possesso di obbligazioni subordinate delle quattro banche in questione, i clienti “più esposti” secondo gli istituti sono circa un migliaio, corrispondono alle persone con meno di 100 mila euro di risparmi investiti e una concentrazione di bond subordinati superiore alla metà del proprio patrimonio.
Tuttavia la rabbia e la disperazione hanno fatto anche lievitare le perdite subite: per esempio Roberta Gaini, cliente storica di Banca Etruria e animatrice della rete dei risparmiatori coinvolti, è comparsa nelle manifestazioni di protesta contro il “decreto Salvabanche” prima con un cartello che indicava in 40 mila euro l’ammontare del danno subìto, somma che è salita a 50 mila euro su un altro cartello ed è poi lievitata nelle tante interviste concesse dalla Gaini a 60 mila euro per attestarsi infine a 80 mila.
[**Video_box_2**]Bene la denuncia mediatica di illegalità e truffe. Ma l’eccessiva partecipazione emotiva rispetto alle storie drammatiche di famiglie che hanno visto sfumare in un attimo anni di risparmi ha portato a situazioni abbastanza surreali, come quando a “Piazzapulita” su La7 è stata intervistata la direttrice di una filiale di Banca Etruria con il volto oscurato che ha spiegato che il decreto del governo sarebbe “anticostituzionale” perché violerebbe “l’articolo 47 della Costituzione” che tutela il risparmio. Ecco, forse non è proprio il caso di prendere lezioni di diritto costituzionale da una direttrice di banca che non sa distinguere tra risparmio e investimenti ad alto rischio che tra l’altro proprio la sua stessa banca ha rifilato spesso a ignari risparmiatori. Ancor più paradossale è stata, sempre nel programma di Corrado Formigli, l’intervista a un tale Roberto Ginnetti, presentato come “ex ispettore della Banca d’Italia” che ha rivelato le falle nella vigilanza di Palazzo Koch. Il giorno dopo è arrivata la smentita di Palazzo Koch: “Si precisa che il sig. Roberto Ginnetti non solo non è un ex ispettore, ma soprattutto non è mai stato un dipendente della Banca d’Italia”. L’intervista doveva dimostrare come in Italia non funzionino i controlli e a suo modo c’è riuscita.