Renzi tradisce gli investitori stranieri. Parla l'ex ad di Eni Paolo Scaroni

Alberto Brambilla
L’esecutivo renziano con un’improvvisa marcia indietro sulle perforazioni in mare ha fatto uno sgarro ai petrolieri. Conseguenze gravi di una scelta populista.

Roma. Le aspettative di decine di investitori nel settore degli idrocarburi italiano sono state tradite a sorpresa nella notte di lunedì dal governo di Matteo Renzi che invece, nei mesi scorsi, a tutti i livelli e in più sedi, aveva dato rassicurazioni su un’apertura inedita del paese ai capitali esteri per aumentare le estrazioni di gas e petrolio dal ricco sottosuolo nazionale.

 

Paolo Scaroni, Deputy Chairman di Rothschild Group ed ex capo di Enel e poi di Eni, parlando con il Foglio identifica alcune delle criticità provocate dall’emendamento governativo, inserito nottetempo nella legge di Stabilità e che ha spiazzato gli operatori. L’esecutivo renziano ha fatto un’improvvisa marcia indietro vietando le perforazioni in mare entro 22 chilometri dalla costa (12 miglia) dopo averle consentite nel novembre 2014 con il decreto sblocca Italia. L’ha fatto per difendersi dalla minaccia di un referendum abrogativo, su alcune norme dello sblocca Italia, indetto da otto presidenti di regione in ossequio agli ambientalisti locali. Per Scaroni limitare le perforazioni nelle aree oltre i 22 chilometri significa “privarsi delle più ingenti risorse di idrocarburi che si trovano principalmente sottocosta”.

 

“Trovo francamente incomprensibile – dice Scaroni – capire da dove derivino tutte queste preoccupazioni riguardo alle perforazioni in Adriatico. In Adriatico c’è solo metano: non possono esserci disastri ambientali, al massimo delle innocue fuoriuscite di gas. Non avrei preoccupazioni nemmeno nel caso del petrolio, visto che la tecnologia estrattiva consente di limitare al massimo i rischi. Senza contare che nel Mediterraneo non abbiamo mai avuto disastri come Macondo anche se ci siamo preoccupati più di tutti per quell’incidente nel Golfo del Messico”.

 

[**Video_box_2**]I manager delle compagnie petrolifere interessate si trovano in un limbo normativo, di nuovo, visto che a questo punto siamo  alla terza modifica legislativa in cinque anni, peraltro con indirizzi opposti. Cosa comporta questa estrema incertezza per chi vorrebbe investire in Italia? “Il continuo va e vieni legislativo non fa che accrescere le già stratificate complicazioni italiche all’investimento nel settore. Questo allontana soprattutto gli investitori di grandi dimensioni, e seri, che danno massima garanzia di ottenere risultati di livello in tempi congrui. A questo punto, perché la grande compagnia petrolifera che ha davanti a sé l’intero pianeta come ‘playing field’ dovrebbe investire in Italia con queste condizioni penalizzanti? Così finisce che chi si candida ad attività esplorative ed estrattive sono essenzialmente una manciata di compagnie di piccola e media dimensione che, va da sé, non garantiscono equivalenti performance tecniche rispetto a un colosso. Un esempio su tutti è quello di Tempa Rossa, che è il più grande giacimento di idrocarburi liquidi su terra del continente europeo, sito in Val D’Agri in Basilicata. Il fatto che la ExxonMobil, la maggiore compagnia petrolifera del mondo, se ne sia andata lo considero un brutto segno: qualcuno prenderà il suo posto, probabilmente, ma non sarà ovviamente la stessa cosa. In caso, sarà di certo una compagnia più piccola”.

 

La congiuntura di una crisi da eccesso di offerta che manterrà il prezzo degli idrocarburi più basso e più a lungo già spinge le aziende a ridurre investimenti, organici e progetti. L’Italia si auto-candida così all’auto-marginalizzazione? “Più noi rendiamo la vita difficile, più le grandi compagnie che hanno vasti orizzonti per scegliere dove investire, di fronte a un paese come l’Italia che diventa sempre più complicato, andranno in altre parti del mondo. L’Italia viene marginalizzata. Dobbiamo dotarci di una legislazione chiara, precisa, non ondivaga ed esposta agli umori della piazza, peraltro in massima parte ingiustificati come ho detto. Altrimenti diciamo chiaramente che non si può fare attività di estrazione in Italia e la facciamo finita con questa manfrina”, dice Scaroni.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.