In Cina cambiano case e mercato immobiliare. Italia in prima linea

Giulia Pompili
C’è una classe di nuovi ricchi cinesi che ha cambiato il concetto di casa in Cina, sostituendo il classico bollitore per il riso cinese (un oggetto indispensabile nella vita quotidiana cinese) con l’arredamento ricercato, costoso, il design al limite del kitch.

Roma. Si dice che l’attuale presidente cinese, Xi Jinping, sia il più maoista dei suoi predecessori. Per via del frequente riferimento alle parole di Mao nei suoi discorsi, per il suo costante tentativo di accentrare i poteri nel Palazzo di Pechino. L’immagine di Mao, nella Cina contemporanea, è ancora quella da cui provengono tutti i leader. Eppure il Dragone, soprattutto negli ultimi anni, si è piegato al mercato, la legge sul figlio unico è stata derogata, le tasse sull'acquisto di beni di lusso sono state alleggerite. E bisognerebbe capire cosa resta dell’immagine di Mao Zedong a Shaoshan, il villaggio natale del Grande Timoniere, dove si trovano il museo memoriale e l’abitazione piena di oggetti della vita quotidiana che rimandano a un contesto semplice, minimal, tutto dedito al lavoro per il popolo. C’è una classe di nuovi ricchi cinesi che ha cambiato il concetto di casa in Cina, sostituendo il classico bollitore per il riso cinese (un oggetto indispensabile nella vita quotidiana cinese) con l’arredamento ricercato, costoso, il design al limite del kitch. La casa, appunto.

 

Come sta cambiando l’abitazione dei cinesi? Provando a sintetizzare circa quarant’anni di post maoismo e di costante crescita e apertura ai modelli occidentali – inaugurata dalla politica della “kaimen”, la porta aperta di Deng Xiaoping – “si potrebbe dire che benessere collettivo e individuale hanno viaggiato a braccetto”, dice al Foglio Francesco Boggio Ferraris, direttore Scuola di formazione permanente della Fondazione Italia Cina. “Il ‘siheyuan’, la tipica casa di corte su quattro lati, espropriata da Mao alla ricca classe feudale e trasformata in piccola comune – modello di vita socialista – all’improvviso ha cominciato a rappresentare un passato da rimuovere, ed è cresciuto il desiderio di una realizzazione più individualistica e in sintonia con i canoni occidentali”. Guardare al significato del carattere “jia”  può essere d’aiuto: “In cinese ha un duplice significato, ovvero ‘casa’ e ‘famiglia’. Se non si aggiungono altre parole è impossibile distinguere i due concetti. Questo testimonia quanto sia importante nella cultura cinese la prossimità di più generazioni sotto allo stesso tetto”. Il carattere, nel tratto, è un tetto, “la parte superiore, sotto al quale si vede una zampa di maiale, ovvero un salame, appeso sotto il tetto ad asciugare. Casa e famiglia ereditano una concezione agricola fortissima, caratterizzante la civiltà cinese sin da suoi albori. Dunque in epoca moderna, nonostante gli spazi per il nucleo stretto della famiglia nell’abitazione fossero esigui – non va dimenticata un’altissima densità di popolazione, soprattutto con l’emergere dell’urbanizzazione – tuttavia erano abitati da spesso da tre generazioni. Se i nonni non abitavano con figli e nipoti, comunque difficilmente si trovavano più lontani di un pianerottolo. I consumi, l’esplosione dell’upper middle class, il raddoppio dei salari minimi nell’arco di una manciata di mesi, in molti casi hanno modificato fortemente questa modalità abitativa”. Secondo Boggi Ferraris “il governo di Xi Jinping ha tradotto questa dinamica nello slogan del Chinese dream, realizzare se stessi per realizzare la grande Cina, che ha una chiave di lettura anche individualistica”.

 

[**Video_box_2**]La società cinese sta cambiando con l’emergere della middle class e di un nuovo ceto di ricchi per i quali “fare più di un figlio e affrontare le relative sanzioni ha rappresentato quasi uno status symbol”, spiega Boggi Ferraris: “Poter dimostrare che si è disposti a pagare di più e mettere in mostra la ricchezza sembra una deriva abbastanza diffusa. Specialmente per i cosiddetti ‘fuerdai’, ovvero i ricchi di seconda generazione, figli dei grandi funzionari pubblici e degli imprenditori più facoltosi che oggi sono considerati una piaga sociale dal governo di Xi, perché le loro follie rischiano di destabilizzare l’ordine sociale. L’obiettivo per il 2021, infatti, è la realizzazione della ‘xiaokang’, il moderato benessere per tutto il paese”. Ma quando la società cambia, è anche il mercato a cambiare. “Abbiamo studiato molto la situazione cinese prima di sbarcare lì”, dice al Foglio Roberto Snaidero, presidente di Federlegno, che giovedì scorso ha annunciato che il Salone del Mobile si terrà a Shanghai, il 21 novembre del 2016. “Non è un mercato a noi familiare, con le caratteristiche di quello europeo o americano. Ma la visita del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel giugno del 2014, ha aperto la strada. Abbiamo avuto il sostegno del governo. Fino a 14, 15 anni fa la superficie media degli appartamenti urbani cinesi era di 35 metri quadrati. Oggi sta cambiando tutto: la società è in crescita e nel 2016 saranno 340 milioni i cinesi con un reddito medio-alto”. In Cina siamo visti come quelli che hanno saputo creare il “bello assoluto”, e posto che ora più cinesi possano permettersi di arredare la propria casa con un design italiano, come si fa con la contraffazione? “Ovviamente siamo lì anche per questo, la politica della protezione del made in Italy è una delle nostre priorità”, dice Snaidero. Il Salone del Mobile di Shanghai, e l’impegno del governo italiano per la sua realizzazione, dimostra il profondo legame e l’attenzione prestata a Roma nei confronti di Pechino, che potrebbe influenzare, in un futuro, questioni ben più geopolitiche. Del resto, per costruire una casa – anche fosse una casa dal design italiano – si inizia dalle fondamenta.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.