Quella volta che la Thatcher contagiò il “rosso” Kazakistan
Roma. Ci sono molti più punti in comune di quanto si possa pensare tra Nursultan Nazarbayev, presidente del Kazakistan, e Margaret Thatcher, ex primo ministro del Regno Unito. Sebbene il primo abbia avviato la sua carriera nelle file del Partito comunista sovietico, prima di divenire il primo presidente del Kazakistan indipendente nel 1991, e la seconda sia uno dei fari del turbocapitalismo occidentale, il primo incontro tra i due è stato uno di quelli che cambiano la storia.
L’Iron Lady fu tra le prime a visitare il paese centro-asiatico l’anno della sua indipendenza. Sebbene fosse terminato il suo mandato da primo ministro, fu inviata in Asia come “plenipotenziaria dell’occidente” per tastare il terreno in vista del disarmo nucleare. Il Kazakistan, spiegò Nazarbayev più tardi, era visto come un paese a maggioranza islamica e si temeva che le testate venissero cedute a gruppi terroristici. Jonathan Aitken, ex ministro con John Mayor e protagonista di una carriera politica talmente corsara da finire in carcere per corruzione nel 1999, rievoca l’incontro nella sua agiografia “Nazarbayev and the making of Kazakhstan”.
I due leader si incontrarono il 31 agosto 1991, durante una tappa ad Almaty della Thatcher, in viaggio verso Tokyo. Nazarbayev illustrò all’ex inquilina di Downing Street i progressi economici del paese e la sua intenzione di abbracciare interamente l’economia di mercato, confidandole anche di essersi dimesso dal Politburo, prima di presentarle il suo programma di privatizzazioni. L’Iron Lady ironizzò: “Sembra che dal comunismo stiate passando al Thatcherismo”.
Nazarbayev le confessò di avere studiato con grande interesse le privatizzazioni del suo governo. Il processo di liberalizzazione dell’economia, al pari della democratizzazione del paese, andò però molto a rilento, pur con qualche discreto risultato. La prima azienda statale a venire privatizzata fu la fallimentare fabbrica di tabacco di Almaty. Venne venduta alla Philip Morris, che vi investì 240 milioni di dollari. Dal 1993, anno di questo primo passaggio di proprietà, al 1995 vennero stimolati investimenti esteri in 94 aziende statali, in particolare nel settore energetico ed estrattivo, la locomotiva economica del paese. Aitken, interpellato, rivela che sebbene i tempi delle privatizzazioni non siano stati proprio “thatcheriani”, negli ultimi anni Nazarbayev ha imbastito un nuovo programma di privatizzazioni sotto l’ala di Samruk, la holding nazionale che controlla tutte le imprese statali (il che pare di per sé abbastanza contraddittorio). Entro il 2016 il governo ha annunciato un ambizioso piano di privatizzazioni nel settore delle infrastrutture, favorendo investimenti privati appunto nelle infrastrutture, nell’estrazione dell’uranio e nella chimica: estrazione, chimica, metallurgia e macchinari sono i prodotti più esportati dal paese.
Il bilancio su investimenti e diritti umani
I dati delle Nazioni Unite segnalano come il Kazakistan dia un certo distacco ai paesi vicini per quel che riguarda gli investimenti esteri diretti. Ad Astana nel 2014 sono arrivati 9,562 miliardi di dollari dall’estero. Tra i paesi confinanti e della regione solo la Russia fa meglio, con 20,9 miliardi. Anche il pil del paese è tra i 50 maggiori al mondo con 212 milioni di dollari, più di molti stati membri dell’Unione europea. Un report della Banca Mondiale ha posizionato il Kazakistan nella top 10 dei paesi che hanno fatto più riforme per facilitare gli investimenti. Nella classifica 2015 di Doing Business, che misura la facilità di fare impresa, il Kazakistan è 77esimo. Ovvio, non c’è paragone con il Regno Unito degli anni 80 (e odierno) e con la sua economia più libera, trasparente e galoppante.
[**Video_box_2**]E’ infatti proprio sulla trasparenza e la democratizzazione del paese che Nazarbayev è sovente punzecchiato da varie organizzazioni non governative e in maniera più fiacca da organizzazioni internazionali di cui il Kazakhstan è membro. Tuttavia bisogna ammettere, e i report lo dimostrano, che Astana sta facendo notevoli passi avanti per avvicinarsi, economicamente e politicamente, a quell’occidente con cui il presidente vuole essere ponte con la Russia.
Ci sta riuscendo forse molto lentamente, ma meglio di molti altri paesi che si sono ritrovati orfani del comunismo dopo il crollo del Muro di Berlino. Forse, è merito anche di quel rapido scalo aereo della Baronessa Margaret Thatcher.