Vladimir Putin con Angela Merkel (foto LaPresse)

Tensioni energetiche

Berlino tira la carretta. La sua o quella europea? Dubbi a Palazzo Chigi

Marco Valerio Lo Prete
Non solo Nord Stream con la Russia. L’entente super cordiale tra Germania e Cina, l’export record verso l’America. La cautela di Descalzi (Eni).

Roma. Se una società italiana entrasse nella joint venture russo-tedesca-olandese per raddoppiare il gasdotto Nord Stream 2 che collega Russia e Germania attraverso il mar Baltico, ciò di per sé garantirebbe all’operazione un look meno tedesco-centrico e più paneuropeo agli occhi di Bruxelles; in cambio la russa Rosneft entrerebbe nel capitale di Saipem, sgravando l’attuale azionista Eni. Questo lo “scambio” – ricostruito domenica e lunedì da alcuni quotidiani, Corriere della Sera e Stampa in primis – che sarebbe stato al centro della telefonata di venerdì scorso tra il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, e il presidente russo, Vladimir Putin. Ieri l’ad di Eni, Claudio Descalzi, è intervenuto per precisare che non sarà il Cane a sei zampe a entrare “come azionista” in Nord Stream, auspicando allo stesso tempo che la Saipem possa invece “lavorare come contrattista”, e aggiungendo pure – questo sì in apparente conflitto con le ricostruzioni di cui sopra – di “escludere per il momento e anche per il prossimo futuro, soprattutto a questo prezzo, altre cessioni di azioni di Saipem”. Il titolo della società specializzata in infrastrutture per ricerca e trasporto di idrocarburi ieri ha chiuso in positivo (più 0,5 per cento), in controtendenza rispetto a Piazza Affari (meno 0,6), come se il mercato sperasse almeno un po’ in un futuro coinvolgimento. E’ forse questa la prosaica conclusione dell’offensiva diplomatica italiana avviata a dicembre in occasione dell’ultimo Consiglio dell’Unione europea, in occasione del quale Renzi era sembrato mettersi di traverso ai desiderata della cancelliera Angela Merkel? Si vedrà. Certo che tra Roma e Berlino quella del Nord Stream non è l’unica partita geoeconomica contesa.

 

A fine anno l’agenzia Bloomberg ricordava come Anton Börner, presidente della Bga, l’associazione delle imprese esportatrici tedesche, avesse dichiarato che “la Germania sta svolgendo il proprio ruolo di motore della crescita dell’Europa”, anche se “non è tutto oro quel che luccica, visto che l’euro debole esagera in particolare la nostra forza economica nei mercati globali”. Ma la Germania ha ripreso davvero a funzionare come un motore di tutta la macchina europea, oppure è semplicemente il motore che romba di più fra tutti quelli degli stati membri? La domanda, a Palazzo Chigi, si declina in vari dossier economici che vedono i due paesi su fronti contrapposti.

 

Il rapporto con la Cina, per esempio. Ieri mattina Berlino festeggiava l’investimento cinese più corposo della storia del paese in una singola azienda. Per quasi 1 miliardo di euro (925 milioni per la precisione), un consorzio di Pechino composto da China Chem, Guoxin international investment corporation e Agic Capital ha rilevato KraussMaffei, gruppo avanzatissimo che produce macchinari per la manifattura di gomma e plastiche. “L’acquisizione rientra perfettamente nella strategia di Pechino di scalare la catena del valore”, ha commentato Kamel Mellahi, professore di Strategic management della Warwick Business School. Il governo tedesco finora è sembrato più che lieto di partecipare a questo ribilanciamento dell’economia cinese, e il deal di ieri è stato avallato anche dallo storico sindacato metalmeccanico Ig Metall. Quella tra le due potenze esportatrici europea e asiatica è un’entente più che cordiale, che potrebbe cementarsi nei prossimi giorni, quando è attesa la prima discussione esplicita, in seno alla Commissione Ue, sull’attribuzione alla Cina dello status di economia di mercato. Questo riconoscimento farebbe cadere automaticamente molti degli strumenti protezionistici entrati in vigore nel 2001, quando il paese asiatico fece il suo ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio. Due mesi fa la cancelliera Merkel ha fatto sapere di essere favorevole “in linea di principio” alla promozione di Pechino, mentre il governo italiano è al momento schierato tra i più contrari. La Confindustria parla di un possibile “effetto devastante per il made in Italy”.

 

[**Video_box_2**]Allo stesso tempo la Germania sta riuscendo a diversificare più di altri paesi le destinazioni delle sue copiose esportazioni: gli Stati Uniti hanno superato la Cina nella classifica dei paesi che progettano l’acquisto di macchinari made in Deutschland. Secondo gli analisti sentiti da Bloomberg, Berlino si è appoggiata ai paesi emergenti asiatici per attutire i colpi della Grande recessione, ma adesso avrebbe la flessibilità sufficiente per volgersi di nuovo a occidente. Roma può stare davvero al suo passo?

 

Ieri – mentre le agenzie rilanciavano i presunti raggiri di qualche banca russa e della tedesca Siemens alle sanzioni economiche in essere – il capo di Gazprom, Alexei Miller, ricordava che le esportazioni di gas verso l’Europa sono cresciute dell’8 per cento nel 2015, e che l’incremento maggiore è stato registrato nel flusso che va verso la Germania (più 17,1 per cento). Se questo è lo scenario, da Palazzo Chigi continueranno a fare i guastafeste o cercheranno solo di aggiungere un posto a tavola?

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