Una scena di "Quo vado?" di Checco Zalone

Niente posto fisso, siamo millennial

Simonetta Sciandivasci
I giovani lavoratori condividono con le generazioni che li hanno preceduti il medesimo desiderio di stabilità familiare ed economica, ma non quello di stanzialità professionale: da un'indagine di Bloomberg emerge che il 57 per cento degli intervistati, pur essendo pienamente soddisfatto dell'impiego attuale, prevede di cambiarlo entro il 2020.

C'è una notizia che sconvolgerà sindacalisti, peripatetici da sciopero generale, Rai3, cantautori e pure qualche rapper: i giovani lavoratori non sognano più il posto fisso. E non per disillusione, depressione o apatia da umiliazione e offesa, come l'epica sociologica ci ha raccontato finora, bensì per desiderio di cambiamento. In America parlano di "portfolio career": si tratta dell'ambizione di collezionare diverse competenze da spendere in più impieghi possibili, senza fossilizzarsi in nessuno di essi. E, per una volta, l'America non è lontana: già nel 2013, un'indagine di Bain&Company, condotta su un campione di mille giovani italiani (più della metà al di sotto del 24 anni), indicava che solo il 37 per cento degli intervistati pensava al posto fisso come obiettivo prioritario del proprio percorso professionale: gli altri preferivano un reddito alto, mansioni soddisfacenti, la possibilità di conciliare lavoro e vita personale senza ammalarsi di alopecia. La Sanpellegrino Campus, per il 2016, ha sondato più di 1.200 studenti tra i 17 e i 25 anni: solo l'8 per cento di loro desidera il posto fisso. La reazione di sdegno alle parole di Monti, che tre anni fa consigliò ai giovani di disabituarsi al posto fisso, quindi, fu solo un riflesso condizionato.

 

I millennial, scrive Sarah Grant su Bloomberg, condividono con le generazioni che li hanno preceduti il medesimo desiderio di stabilità familiare ed economica, ma non quello di stanzialità professionale. "I ragazzi hanno un piede fuori dalla porta", ha detto Punit Renjen, amministratore delegato della compagnia Deloitte Global, raccontando la serena disponibilità dei suoi colleghi e sottoposti ad accettare nuove offerte e, soprattutto, a cercarne di nuove (il 57 per cento di loro, pur pienamente soddisfatto dell'impiego attuale, prevede di cambiarlo entro il 2020). Non sono più le aziende a mandar via i propri dipendenti, ma questi ultimi a liquidarle, se esse non soddisfano la loro brama di crescita, apprendimento, trasversalità, al punto che, visto l'elevato costo che il continuo ricambio rappresenta per loro, s’ingegnano per farli restare. Trattenere un millennial garantendogli un posto fisso, con tutte le assicurazioni sul futuro che questo comporta, non basta (anzi, ne accelera la fuga): è necessario coinvolgerlo nel disegno del futuro della compagnia per la quale lavora, offrirgli la possibilità di spaziare, sfidarsi, essere una specie di David Bowie che, quando una cosa funzionava, doveva distruggerla e farla rinascere da un'altra parte, in un altro corpo, anche se l'opera da portare a compimento era sempre la stessa.

 

[**Video_box_2**]La Deloittle Global ha investito 350milioni di dollari per la Deloittle University, una struttura all'interno della quale lavorano tutor che restano a disposizione di ciascun dipendente, per assecondarne le ambizioni e farle collimare con le esigenze dell'azienda. Un ribaltamento non da poco per una generazione cresciuta mentre l'economia mondiale sembrava pronta a collassare e rispedire tutta la popolazione attiva nei campi. Certo, quello presente non è automaticamente il migliore dei mondi possibili, ma è sempre quello in cui il padrone può diventare servo: le nuove generazioni sembrano pronte, se non a soggiogare, quantomeno ad amministrare lo stesso mercato che fino a pochi anni fa sembrava volerli spremere come limoni per poi buttarli via. Henry David Thoreau diceva che non basta essere operosi, quella è roba per formiche: è necessario chiedersi per cosa si opera.

 

L'iperattivismo e il super-lavoro che sembravano essere inevitabilmente implicati nel nuovo mercato che ci vuole tutti versatili e mobili, allora, sembrano smorzarsi e trovare una direzione: la scoperta delle proprie risorse, la sfida continua. Vedremo, forse, un futuro ricco di Ulisse e povero di formiche.

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