I veri conti che fanno i mercati
Roma. “We are not surrending, we don’t give up”. Non ci arrendiamo. La frase pronunciata da Mario Draghi sembra la riedizione del “keep calm and carry on” che i britannici fecero circolare per rassicurare l’opinione pubblica di fronte all’avanzata nazista. Il motto però è opportunamente aggiornato ai tempi dei banchieri centrali-rockstar che adesso si sentono disarmati di fronte alla ripresa e all’inflazione anestetizzate. Non solo slogan, però: l’annuncio del presidente della Banca centrale europea, secondo il quale “sarà necessario rivedere e forse riconsiderare la nostra stance di politica monetaria al prossimo incontro” (il 10 marzo, ndr), ha fatto rifiatare le Borse europee. Inclusa Piazza Affari che, dopo i tremori di questo inizio 2016, ha chiuso a più 4,2 per cento. Difficile dire quanto durerà. Anche perché perfino i più antipatizzanti tra gli osservatori sottolineavano la franchezza con cui Draghi ha aperto la conferenza stampa: da dicembre, “le dinamiche dell’inflazione nell’Eurozona continuano a essere più deboli del previsto”.
Comunque sia, giovedì sera il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, si è detto soddisfatto: “Benissimo le cose dette da Draghi. Oggi è andata meglio”. Il banchiere centrale, infatti, nel pomeriggio ha indugiato a lungo sulla situazione degli istituti di credito italiani. Rassicurando, innanzitutto. “La valutazione concorde – ha detto – è che le banche italiane hanno un livello di accantonamenti simile a quello medio dell’Eurozona e dispongono inoltre di un livello molto elevato di garanzie e collaterale”. A proposito dei non performing loans, cioè i crediti in sofferenza, ha precisato che non c’è nessun accanimento della Bce sul nostro paese: “Sono già stati definiti nel corso della valutazione complessiva condotta da Francoforte e questo vuol dire che non ci saranno nuovi accantonamenti a sorpresa o richieste di più capitale”. Tutto bene, dunque? Secondo alcuni banchieri italiani interpellati dal Foglio, bisogna guardare oltre i casi specifici di mala gestio aggravata (vedi le quattro banche regionali salvate a novembre dal governo) e del Monte dei Paschi di Siena. Il clima di incertezza sugli istituti di credito è generalizzato e dipende solo in parte dai “fondamentali” domestici. Questi ultimi, ovvio, risentono di otto anni di crisi e sono sintetizzabili in un numero: 201 miliardi di sofferenze, ai massimi da vent’anni. Un accordo con Bruxelles sulla bad bank, utile a smaltire tale fardello, dovrebbe arrivare a giorni, però non funzionerebbe più come una bacchetta magica: “Anche se arrivasse nel fine settimana, non sarebbe decisiva, andava fatta prima, ci sta lavorando Padoan”, ha tagliato corto Renzi.
[**Video_box_2**]Di decisivo, per ristabilire fiducia nel settore del credito da cui è così dipendente l’Europa, ci sarebbe in realtà dell’altro. Come l’unione bancaria, quella che secondo Draghi doveva essere la più importante riforma della governance economica dell’area dai tempi dell’introduzione dell’euro. E questo fine settimana per certo non arriverà. Peggio, aggiungono i banchieri consultati dal Foglio: quella costruzione è rimasta ferma a metà. C’è il Supervisore unico europeo (Ssm), c’è il Meccanismo unico di risoluzione per trattare le banche in estrema difficoltà, e dal 1° gennaio la direttiva sul bail-in efficace ovunque per obbligare azionisti, creditori e grandi correntisti a partecipare delle perdite di un istituto, prima che a rimetterci siano i contribuenti. Insomma c’è il volto più arcigno dell’Unione bancaria, ma non c’è la diga più rassicurante, il sistema di garanzia comune dei depositi a livello europeo. Un aspetto, quest’ultimo, ritenuto fondamentale dalla Commissione Ue e dal presidente della Bce per non ingenerare panico ingiustificato nei correntisti del continente che tutto vorrebbero tranne puntellare con i propri risparmi le banche in estreme difficoltà. Un aspetto che però ormai Berlino osteggia apertamente perché equivarrebbe – dicono – a una mutualizzazione dei rischi fra paesi diversi. Così sia il ministro delle Finanze tedesco Schäuble sia il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem hanno detto che “il bail-in è cruciale per l’unione bancaria”. Il bail-in, e non altro. Renzi, e non solo lui, avrebbe l’interesse a ricordare che l’unione bancaria è l’ennesima grande incompiuta delle riforme europee, ma finora ha preferito concentrarsi sulla flessibilità fiscale. Anche perché nemmeno Merkel, forse, è più in condizione di strappare una concessione così grande alla propria opinione pubblica. (mvlp)