Altro che complotti
L’ “attacco” alle banche italiane che sono più “sane” di quelle europee da parte delle “mani forti” è il presagio di un novello 2011, con Renzi al posto di Berlusconi. Questa sembra la narrazione che va per la maggiore quando si prova a interpretare la caduta delle azioni e delle obbligazioni bancarie. Metterla in questo modo cattura certamente l’attenzione, ma, purtroppo per questa narrazione, le cose, a guardarle meglio, sono banali, o, se preferiamo, si capiscono seguendo quello strano animale che è la razionalità borsistica. Insomma, niente “gomblotti” contro l’Italia, ma solo calcoli di probabilità. Di seguito ragioniamo come se ci fosse una sola banca italiana – ossia abbiamo una media con varianza zero. Abbiamo ragionato così per semplificare. Che le molte banche italiane, prese singolarmente, siano in una condizione molto diversa, è noto, ma richiederebbe un’analisi troppo dettagliata. Le sofferenze (Non performing loans, Npl) sono i prestiti che una banca ha effettuato, ma che i debitori non riescono a ripagare. A quanto ammontano in Italia? Intorno ai 200 miliardi di euro. Per la media delle banche italiane, le sofferenze sono pari al 10 per cento degli attivi. Le principali banche europee hanno, invece, un livello di Npl in rapporto agli attivi pari al 3,5 per cento. Come possono le banche italiane far fronte a un volume di sofferenze così elevato? Una banca può avere effettuato accantonamenti e spesato una parte dei Npl in bilancio. Le banche italiane hanno un tasso di copertura pari a circa il 50 per cento, il che significa che rimangono da affrontare perdite potenziali massime pari a circa il 50 per cento del valore nominale dei Npl. Il tasso di copertura europeo è, invece, pari al 45 per cento.
Sulla base di questo dato, l’affermazione (patriottica) riportata da alcuni giornali – l’“Italia batte Europa” – denuncia un’involontaria manipolazione. Se la percentuale di Npl è pari al 10 per cento degli attivi e il tasso di copertura è del 60 per cento, rimangono perdite potenziali per il 4 per cento. Se una banca ha sofferenze pari al 1 per cento degli attivi e un tasso di copertura dello 0 per cento, si possono avere delle perdite nell’ordine di un modesto 1 per cento. Perciò confrontare in termini percentuali la copertura delle sofferenza fra l’Italia e l’Europa non ha un gran significato.
[**Video_box_2**]Nel caso delle quattro banche in crisi – Etruria e le altre – è stata valutata una percentuale di recupero del portafoglio dei Npl pari al 20 per cento circa. Se i Npl sono pari al 10 per cento degli attivi (per ipotesi pari a 100) e la copertura è pari al 50 per cento, resta un 50 per cento da coprire, e, se questo è recuperabile, come mostra la vicenda dell’Etruria e delle altre altre banche, solo per il 20 per cento, ecco che si hanno delle perdite pari a 40. Questo 40 – la parte non recuperata, pari all’80 per cento delle sofferenze non coperte – va messo in rapporto al totale delle sofferenze, che sono, a loro volta, pari al 10 per cento dell’attivo. Insomma, le perdite potenziali massime delle banche italiane sono pari al 4 per cento dell’attivo. In questo caso limite, le banche perderebbero il 4 per cento dell’attivo, e perciò dovrebbero varare degli aumenti del capitale. Siamo finalmente arrivati alle probabilità, che prendono sommessamente il posto del popolare “gomblotto”. Le strade per affrontare il nodo dei troppi Npl sono quattro. La prima si palesa nel riassorbimento graduale dei Npl grazie alla ripresa economica che alza la redditività delle banche. La seconda consiste nella risoluzione del nodo dei troppi Npl con il famigerato bail-in. La terza è quella dell’aumento del capitale di rischio. La quarta, è quella della bad bank che acquista i Npl. Il mercato finanziario può immaginare come “attraenti” la prima (improbabile) e la quarta (difficile da attuare in tempi brevi), mentre può immaginare come “sgradite” la seconda e la terza (le meno improbabili). Essendo le meno improbabili, ecco che diventano quelle che mettono sotto ulteriore pressione le azioni – gli aumenti del capitale diluirebbero il peso delle azioni esistenti – e le obbligazioni subordinate delle banche – che sarebbero “bruciate” nel caso di un bail-in.