Le conseguenze di un occidente in crisi d'identità. Parla Bremmer (Eurasia Group)
Milano. Viene dall'Europa il rischio geopolitico più urgente per i mercati finanziari. "Non penso che alla prossima crisi gli europei saranno in grado di rispondere come hanno fatto l'ultima volta per gli attentati di Parigi o la Grecia", ha detto oggi Iam Bremmer, fondatore del think tank Eurasia Group, politologo e Global Research professor alla New York University, suo il primo indice sul rischio politico globale di Wall Street (Gpri). Bremmer ha parlato oggi a Milano, in un appuntamento con la stampa organizzato in occasione dell'incontro annuale con i clienti della società di gestione del risparmio Kairos in programma per questa sera. Ma sull'Italia non ha voluto sbilanciarsi molto. "Ha una delle traiettorie più positive quanto a riforme e una leadership carismatica", ha detto rispondendo a una domanda dopo aver tracciato lo scenario di un'Europa che sta affrontando "grandi rischi, non molto probabili ma possibili".
Ma che allo stesso tempo "sono molti", i rischi. Dalla Brexit, che Bremmer non ritiene probabile ma possibile, alla Grexit, la cui probabilità invece sta crescendo, anche se creerà meno danni economici perché nel frattempo paesi e banche hanno alzato le difese, fino alla crescita dei populismi, per quanto non ritiene possibile che nessuno dei partiti estremisti possa andare al governo nei tre maggiori paesi europei (Francia, Uk, e Germania). Due sono però i temi che lo preoccupano di più, e sono strutturali: Schengen, la cui sospensione costerebbe sia economicamente sia politicamente, e la capacità dell'Europa di rispondere alla prossima crisi. "Se doveva esserci un 9/11 negli Stati Uniti, allora è successo nel momento giusto, non fraintendetemi: gli Stati Uniti erano potenti, la Russia era collaborativa, la Cina era piccola – ha spiegato Bremmer – Oggi non sarebbe lo stesso, a partire dagli Stati Uniti che sarebbero divisi. Ed è questo che mi preoccupa anche per l'Europa. Non penso che gli europei siano in grado di rispondere alla prossima crisi come hanno fatto l'ultima volta".
Il problema è il vuoto di leadership e la crisi di identità che sta attraversando il Vecchio Continente. "Non dico che c'è una minaccia all'Europa o all'Euro come istituzioni ma come idea, l'Europa non è più qualcosa per cui le persone lotterebbero, le istituzioni europee non moriranno ma non saranno più forti, non ci ispireranno più, perderanno di significato". Una crisi d'identità che riguarda anche gli Stati Uniti, che non sono più disponibili a fare i gendarmi del mondo. "Oggi non sappiamo per cosa gli Stati Uniti 'stand for' (sostenere, ndr). Sono confusi. Sono diventati incorerenti", ha detto Bremmer. Un vuoto di leadership che già da qualche anno Bremmer sintetizza con l'espressione G-Zero, con il quale si riferisce al vuoto di potere emergente nella politica internazionale causato dal declino dell'influenza occidentale e dal focus domestico dei governi dei paesi in via di sviluppo (il tema è trattato da Bremmer nel suo libro del 2012 Every Nation for Itself: Winners and Losers in a G-Zero World, Portfolio). In altri termini, non c'è più nessun Paese che voglia assumere un ruolo guida. Così nel 2016 per Bremmer non vedremo i leader dare risposte efficaci a problemi come quello della Siria, "vedremo frammentazione se non un'assenza di risposte".
[**Video_box_2**]In questo "mondo G-zero" il rischio geopolitico si alza molto. Anche se non per tutti. A rimetterci, oltre al medio oriente, è soprattutto l'Europa, dove ci sarà molta più instabilità geo-politica. Instabilità che torna di peso nelle preoccupazioni degli investitori. "Per la Borsa ora il rischio più urgente arriva dalla situazione europea – ha detto Bremmer – L'instabilità che viene dal Medio Oriente in Europa non si può comprare sui mercati. Nel più lungo termine il problema è invece il mondo G-Zero". Al contrario, l'esito delle elezioni americane, qualunque sia, non muoverà le decisioni delle mani forti degli investitori mondiali mentre il mercato ha reagito eccessivamente alla crisi cinese. "Tutte le preoccupazioni del mercato sulla Cina – ha precisato Bremmer – sono reali ma non per quest'anno, sono più a lungo termine. Il mercato ha reagito in maniera esagerata alla crisi cinese per motivi economici non politici ma quello cinese è un mercato politico".
La Cina, infatti, sa bene per cosa "stand for": il suo interesse economico. I paesi asiatici nel complesso sono ora meno toccati da questa instabilità geopolitica, non hanno nessuna voglia di creare instabilità. "Hanno forti leader, il che permette di agire in modo strategico senza giocare la carta dei populismi, il che è una buona notizia. I cinesi stanno investendo in Giappone e viaggiando verso il Giappone, allo stesso tempo Tokyo sta facendo molto bene in termini di relazioni internazionali. La geopolitica in Asia al momento è buona", ha detto Bremmer che ha promosso anche l'India e il premier Modi.
Per Bremmer il tema sull'Asia è un altro, ed è legato alla quarta rivoluzione industriale, la tecnolgoia che sta trasformando ogni settore dell'economia, il tema del World economic forum di Davos da cui il politologo è reduce. La domanda è: "La quarta rivoluzione industriale farà sul lavoro quello che sta succedendo sul petrolio in seguito alla rivoluzione energetica?". Se così forse la classe media cinese sarebbe tra le più colpite. "Allora sì – dice Bremmer – che i cinesi potrebbero giocare la carta nazionalistica. E sarà preoccupante".