Sergio Mattarella riceve il presidente della Repubblica islamica dell'Iran Hassan Rouhani (foto LaPresse)

Teheran dreaming

Dario D'Urso
Rimettete il portafogli in tasca. Il nuovo grande miracolo iraniano potrebbe tardare ad arrivare. I primi capitali esteri andranno in compravendita di voti. Sbaglia chi ritiene azzerate le sanzioni.

Roma. Detto, fatto. Il day after dell’implementation day è già iniziato con un turbinio di tour di ministri e imprenditori europei a Teheran, le visite del presidente Rohani in Italia e Francia, le prospettive di investimenti massicci e di nuovi approvvigionamenti energetici. Un sospiro di sollievo collettivo e un altrettanto collettivo sfregamento di mani di fronte a una buona notizia in un quadro economico globale ancora decisamente plumbeo. Ci sarebbe però da chiedersi se le rondini di Teheran facciano davvero primavera in Europa. Siamo realmente di fronte a un nuovo miracolo iraniano? Ad ascoltare i media d’oltreoceano e d’oltremanica, si direbbe che la “pagina dorata” nella storia della Repubblica islamica celebrata da Rohani il 16 gennaio non sia stata ancora scritta.

 

Quotidiani come il Wall Street Journal, il Financial Times e il New York Times, insieme a think tank e consultancies del calibro del Center for Strategic International Studies e Stratfor stanno da giorni cercando di placare i facili entusiasmi occidentali sulla presunta bonanza iraniana, dipingendo un quadro cauto non solo sulle capacità di Teheran di assorbire investimenti e produrre beni e idrocarburi, ma anche sui limiti legali e politici che la fine delle sanzioni sul nucleare non ha eliminato. Gli analisti avvertono innanzitutto di non scambiare gli svariati miliardi di dollari in asset all’estero che l’implementation day ha scongelato con la prospettiva di uno strutturale impegno all’attrazione di investimenti esteri.

 

[**Video_box_2**]Quella ingente cifra – chi parla di 55, chi di 100 miliardi di dollari – sarà oggetto di strenua competizione tra l’asse Rohani-Zarif e l’establishment radicale sponsorizzato dalla Guida suprema Khamenei e dai pasdaran. Col primo che spingerà per intestarsi la paternità dei benefici economici post-sanzioni per capitalizzarli in consenso elettorale e il secondo orientato a investimenti militari “aggressivi”.

 

La vera posta in gioco sono le contestuali elezioni del prossimo febbraio per il rinnovo del Parlamento e soprattutto dell’Assemblea degli Esperti, organo che nella sua prossima composizione sarà molto probabilmente chiamato a nominare la prossima Guida suprema. Nota agli investitori esteri: i primi capitali saranno a uso e consumo della strisciante battaglia politica per determinare il futuro equilibrio tra moderati e radicali. Altro mito da sfatare: il petrolio sarà il motore della rinascita economica iraniana. Con il barile oscillante ormai sui 30 dollari e nessun taglio in vista, l’Iran potrebbe non riuscire a inondare il mercato con un milione di barili al giorno aggiuntivi come annunciato da Rohani. Il bilancio statale di Teheran per il prossimo anno fiscale prevede un aumento degli introiti petroliferi di solo il 17 per cento, arrivando a un quarto delle complessive entrate statali.

 

La fine delle sanzioni legate al programma nucleare non coincide con la fine di tutte le sanzioni contro l’Iran. Se quelle europee sono state rimosse, restano in piedi quelle approvate negli anni 90 e nei primi anni 2000 da Washington per colpire l’Iran come sponsor del terrorismo e per le sue scarse performance sui diritti umani. Restano oggetto di sanzioni le imprese controllate dai pasdaran – potenza economica e militare – e le società iraniane nel loro complesso restano fuori dal sistema bancario americano. In aggiunta, e con un tempismo non proprio disinteressato, il dipartimento del Tesoro di Washington – all’indomani dell’implementation day e dello scambio di prigionieri tra Washington e Teheran – ha inserito in una “blacklist” una dozzina di società e individui di vari paesi sospettati di coinvolgimento nello sviluppo del programma balistico iraniano. Rimettete lo champagne al fresco e il portafogli in tasca: il nuovo miracolo iraniano potrebbe tardare ad arrivare.