Un taxi durante le proteste contro Uber in Francia

Uber, Ilva, Bad bank. Focolai nostalgici, illusori e neoluddisti nell'epoca della grande trasformazione

Alessandro Giuli
Il car sharing sta ai taxi come il motore a scoppio ai cavalli. L’autarchia siderurgica è un miraggio ottocentesco. Il rischio finanziario è personale (Berlinus vult)

Il pasticciaccio siderurgico dell’Ilva, i tafferugli in piazza dei tassisti contro Uber, una mozione di sfiducia un po’ ipocrita sul caso dei salvataggi bancari all’italiana, mentre il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan fa la lotta nel fango europeo per strappare un compromesso sui crediti bancari deteriorati (vulgo: monnezza da Bad bank). Forse – e sottolineo forse – c’è qualcosa che tiene insieme questo piccolo inventario di cose non poco notevoli e decisamente rumorose: l’incapacità di cogliere i tratti fondamentali della fine di un’epoca. Mondi che trapassano fra lo stupore immusonito di vittime spesso innocenti e l’occhiuta sorveglianza di un gendarme chiamato Commissione europea. Cominciamo da Uber. I moti dei tassinari di Parigi, così come i focolai italiani, rasentano il neoluddismo: si colpisce la manifestazione sensibile di un prodotto tecnologico ad altissimo potenziale rivoluzionario, e nel frattempo si cerca disperatamente di attrezzarsi alla sfida con gli stessi dispositivi (app per smartphone) senza però mettere in questione le proprie rendite di posizione, per quanto sudate e legali possano essere. Fa spavento l’argomentazione di Travis Kalanick, fondatore di Uber, quando obietta retoricamente: “Gli industriali dell’auto pagarono forse un indennizzo ai conduttori di carrozze a cavallo?”. Figurati se non li capisco, i tassisti, io che avrei manifestato contro il motore a scoppio. Ma è chiaro che non è più tempo per monopoli di carrozze o cavalli-motore rivestiti di un’unica sigla. I “consumatori” stanno dalla parte di Uber perché Uber assomiglia a loro, è ritagliata sui loro bisogni primari (a cominciare dal risparmio di soldi), sempre che i soggetti non coincidono direttamente (Uber Pop).

 

E sopra tutto non è più stagione di maternalismo pubblico, sussidi di Stato, risarcimenti compensatori. Manca la materia prima: lo Stato e i soldi. Il massimo che si può esigere è un quadro normativo chiaro, uniforme ed europeo (senza addentrarci sulla sua probabile gradazione liberalizzatrice, cioè deregolatoria), per evitare che se ne occupi la magistratura d’ogni ordine e grado legiferando per sentenze.

 

E qui entra in gioco l’Ilva, con la Fiom Cgil scesa in battaglia solitaria e preventiva contro un “piano di svendita” ancora tutto da ponderare. Se l’obiettivo immediato era ottenere la presenza del governo all’incontro tra le parti fissato per il 4 febbraio, ci siamo: sarà presente il sottosegretario allo Sviluppo, Simona Vicari. Se l’obiettivo ultimo è mantenere gli attuali standard occupazionali, forse un punto di caduta accettabile si troverà. Epperò senza illusioni: le partecipazioni statali si limiteranno alla presenza temporanea della Cassa depositi e prestiti, l’autarchia siderurgica è un miraggio anacronistico, così come la prospettiva di un piano industriale da parte di Palazzo Chigi. L’ombra del vincolo esterno, l’infrazione europea per chi si “macchia” d’aiuti di Stato, è sempre lì: puntata su un mondo che non si tiene più in piedi, sia che lo si osservi dal punto di vista del mercato del lavoro sia che lo si rimpianga da quello della competitività. Il massimo che si può sperare è nella possibilità di adattare (a spese del contribuente) l’Ilva ai parametri ambientali comunitari (e, ci vogliamo rovinare, alle tecnologie futuribili). Altro spazio di manovra non c’è, nelle disponibilità dell’azienda e in quelle di Palazzo Chigi.

 

[**Video_box_2**]Quanto al dossier bancario, la cornice non è poi così differente. Il massimalismo di chi – Cinque stelle in testa – invoca nazionalizzazioni imperiose e contropartite economiche per gli investitori incauti, quelli prosciugati dal vortice delle obbligazioni secondarie, risuona come un appello controvento. Titoli spazzatura e fattori di rischio possono essere frammentati ma non socializzati: se il debito è una colpa (Schuld, come sentenzia la dottrina merkeliana), l’espiazione è personale. Così funziona la nuova Europa, e il fatto di aver sottoscritto certe regole prima dello stato d’eccezione sopraggiunto con la crisi finanziaria non cambia alcunché. L’Eurosovranità non è un pranzo di gala, né un veglione di Capodanno in cui si possa anticipare la mezzanotte. Il mondo nuovo è questo, e non c’è altermondismo o altereuropeismo che tenga.

Di più su questi argomenti: