Riva fa ricorso contro il governo per annullare la vendita dell'Ilva
Roma. La famiglia Riva ha intrapreso la prima importante azione legale contro l’esecutivo italiano che nel 2013 ha commissariato e poi gestito, con risultati fallimentari, il gruppo siderurgico Ilva e per due volte, a distanza di un anno, ne ha proposto la cessione a terzi senza nemmeno sentire in merito i proprietari della maggioranza della società, estromettendoli di fatto dalla gestione dell’azienda che rilevarono dallo stato nel 1996.
I legali del gruppo Riva Fire (proprietario del 87 per cento delle azioni del gruppo Ilva) hanno depositato ricorso presso il tribunale amministrativo di Roma e del Lazio contro il ministero dello Sviluppo economico, la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell’Ambiente e nei confronti dei commissari straordinari dell’Ilva (Piero Gnudi, Corrado Carrubba, Enrico Laghi) chiedendo l’annullamento del decreto del ministero dello Sviluppo economico emanato il 4 gennaio ma – alla data del ricorso e comunque con oggettivo ritardo – “non pubblicato e quindi di estremi e contenuto non conosciuti”. Si sà tuttavia che il governo ha intenzione di vendere o affittare gli impianti e tanto basta a motivare l’opposizione dei proprietari della maggioranza delle quote, i Riva, e in precedenza la richiesta di risarcimento da parte dei soci di minoranza di Ilva, la famiglia Amenduni.
Il ricorso è potenzialmente fatale per il successo dell’idea del governo di Matteo Renzi. Il governo a gennaio ha pubblicato, sulla stampa italiana e internazionale, l'invito aperto a mostrare interesse all’acquisto o all’affitto degli stabilimenti Ilva: ultima, in ordine di tempo, e disperata mossa per tamponare la crisi del gruppo siderurgico un tempo tra i più importanti d’Europa e oramai fuori mercato e in decozione. Il termine per manifestare interesse scade il 10 febbraio, in coincidenza con lo sciopero indetto successivamente dai lavoratori diretti dell’Ilva a Taranto e del suo indotto.
Il governo Renzi, in una corrispondenza con alla Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione europea del 19 gennaio 2015, affermava che il commissariamento era stato deciso allo scopo “di porre rimedio non tanto alle carenze tecnologiche dello stesso quanto piuttosto ad inefficienze di carattere di gestionale ed organizzativo riconducibili alla proprietà dei Riva”. Tradotto: il governo interviene non perché serve qualcuno che applichi le prescrizioni dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) riqualificando lo stabilimento di Taranto secondo le migliori tecnologie per abbattere le emissioni inquinanti, quanto perché è il governo stesso a ritenere che i Riva non siano capaci di farlo. Su quali basi? Il governo, nella stessa lettera, smentisce il precedente assunto quando dice di “non condividere” l’analisi della Commissione europea secondo cui l’inquinamento è aumentato “perché essa non tiene in conto significativi miglioramenti nelle prestazioni ambientali dell’installazione intervenuti nel tempo e, in particolare quelli garantiti attraverso le azioni messe in atto dal 2005”, ovvero quando i Riva già gestivano gli stabilimenti dell’ex Italsider, società pubblica, come hanno fatto con continuità fino al 2012. A luglio di quell'anno, lo stabilimento è stato posto sotto sequestro parziale e cautelare da parte della procura di Taranto che ha aperto un’inchiesta per “disastro ambientale” con conseguente processo penale, a oggi in fase preliminare, da celebrarsi con 47 imputati chiamati a rispondere anche di altri e diversi reati.
“Il sequesto penale disposto dall’autorità giudiziaria – ricordano nel ricorso al Tar i legali dei Riva dello studio di Luisa Torchia, tra i massimi esperti di diritto amministrativo e costituzionale nonché allieva di Sabino Cassese – è stato eseguito nonostante l’Ilva operasse, come risulta dalle stesse perizie richieste dal giudice per le indagini preliminari di Taranto (Patrizia Todisco, ndr), nel rispetto dei limiti per le emissioni atmosferiche stabiliti dall’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dal ministero dell’Ambiente nell’agosto 2011”.
[**Video_box_2**]Aia che secondo il governo i Riva non sarebbero stati capaci di completare e che, successivamente, è stata arricchita di altri costosi interventi da completare e che nemmeno l’esecutivo è riuscito a portare a buon punto di realizzazione.
Dice il ricorso: “Le ripetute proroghe del termine per la realizzazione degli interventi previsti dal Piano ambientale, di cui comunque il nuovo aggiudicatario dell’impresa (in caso di successo del processo di vendita, ndr) potrà pretendere modifiche anche sostanziali con ampio margine di libertà (è il governo stesso che lo concede nel decreto, ndr) dimostrano dunque come i commissari nominati dal governo non siano riusciti a darvi attuazione nei termini originariamente stabiliti: il che si pretendeva da parte dei titolari dell’impresa, che sono stati ingiustamente privati della stessa anche in base alla necessità di attuare quel piano ambientale”.
Dopo l'inizio della gestione governativa "…Ilva è stata gestita con perdite e deprivata di ogni prospettiva industriale" con il commissario Gnudi che ha considerato "la vendita di asset come unico possibile risultato dell'amministrazione straordinaria", dicono i legali. Il produttore siderurgico avrebbe perso 2,4 miliardi di euro durante la gestione commissariale, dicono gli avvocati. "La compagnia è stata espropriata dalla proprietà con un processo che non è mai stato dichiarato apertamente", conclude il ricorso. Ora l’Ilva sprofonda ancora di più in terra incognita.