Flessibilità strategica
I mercati non aiutano Renzi che prova a buttare l'Europa in politica
Roma. L’ambasciatore politico per Bruxelles (Calenda) al posto di quello col pedigree da diplomatico (Sannino) era solo un antipasto. Nella strategia di Matteo Renzi per scuotere l’Unione europea doveva essere servito in contemporanea alle “domande” rivolte alla cancelliera tedesca sulla politica energetica e sull’immigrazione in sede di Consiglio Ue (“nessun attacco”). E poi seguìto da un confronto diretto con la Commissione europea sulla flessibilità fiscale che, secondo il governo, all’Italia spetta di diritto. E se il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, non risponde a modo, ecco allora il fuoco di fila di dichiarazioni dei parlamentari italiani del Partito socialista europeo (Pse) che all’ex premier lussemburghese ricordano l’accordo di grande coalizione tra Ppe e Pse che l’anno scorso lo ha portato alla guida dell’esecutivo europeo. Infine, ecco l’ultima: l’idea di organizzare le primarie nella famiglia socialista per scegliere il successore di Juncker (nel 2019). Ancora ieri, con la tenuta di un seminario organizzato a Roma per riunire i presidenti dei gruppi progressisti dei Parlamenti nazionali in Europa, emergeva tutta la voglia del partito di governo di politicizzare il confronto con gli “euroburocrati”. A intervenire per l’esecutivo, mentre Renzi telefonava al premier inglese Cameron, sono stati il ministro dell’Economia Padoan e quello per le Riforme Boschi (quest’ultima prescelta, dicono nel partito, per mettere fine alle schermaglie tra Farnesina e Sandro Gozi). E se “criticare Bruxelles non vuol dire essere euroscettici”, come ha detto Boschi, a dubitare della ripresa del continente sembrano essere innanzitutto i mercati. Ieri le Borse hanno chiuso in negativo, con Atene (meno 7,9 per cento) e Milano (meno 4,7) in coda a tutte le altre.
Si è tornata a riaffacciare anche Lady Spread: il differenziale tra titoli di stato italiani decennali e Bund tedeschi è salito di oltre 20 punti, chiudendo a quota 146, ai massimi da luglio 2013. Né i mercati sono gli unici ostacoli sulla strada della piena ripoliticizzazione del dibattito in Europa. Domenica, tra le righe di un editoriale sul Sole 24 Ore, il politologo Sergio Fabbrini svelava un’ennesima stilettata arrivata dalla Commissione alla volta di Roma: durante un convegno brussellese, infatti, il capo di gabinetto di Juncker, il tedesco Martin Selmayr, avrebbe sostenuto che “la Commissione Juncker è diventata un organo politico, non amministrativo, perché è ora guidata dallo spitzenkandidat del partito che aveva ottenuto più seggi nelle elezioni parlamentari del maggio 2014 (il Partito popolare europeo). Da questo punto di vista, ha aggiunto, Juncker avrebbe più legittimità democratica di Renzi, in quanto quest’ultimo non è mai stato eletto dai cittadini del suo paese”. In altre parole: caro Renzi, ci accusi di essere dei meri “burocrati”? Allora vediamo davvero chi ha più sostegno popolare. Stoccata non da poco per un euroburocrate che tra l’altro, secondo i retroscena, Renzi avrebbe voluto impallinare nel bilaterale con Merkel dello scorso 29 gennaio.
[**Video_box_2**]Ieri poi un altro “burocrate” tedesco ha generato allarme a Via XX Settembre e Via Nazionale. In un articolo apparso sul quotidiano Süddeutsche Zeitung, il banchiere centrale tedesco Jens Weidmann e quello francese François Villeroy de Galhau si sono detti favorevoli a “un’integrazione più forte” nell’Eurozona, per esempio con un ministro delle Finanze europeo. Allo stesso tempo, in un passaggio più tecnico, hanno chiesto che “i rischi sovrani siano propriamente tenuti in conto da tutti gli stakeholders, banche commerciali incluse”. Ponderare il rischio-Btp nei bilanci bancari italiani, invece che considerarlo pari a zero come succede oggi, causerebbe un’ulteriore stretta del credito. Oltre al fatto che “rinazionalizzare” anche tale quota di rischio sovrano sarebbe agli antipodi rispetto alla “condivisione dei rischi” auspicata ancora ieri da Padoan.