Sfiducia allo sportello, in tutta Europa
Roma. Il 20 gennaio l’inglese John Cyran, chiamato a metà 2015 come co-amministratore delegato della Deutsche Bank, ha riunito in un ristorante italiano di New York i suoi maggiori manager di trading di Wall Street e Londra, quelli che per molti anni hanno spinto a rotta di collo il motore della prima banca della Germania. Ospite della serata: il generale Stanley McChrystal, già comandante delle truppe statunitensi e Nato in Afghanistan. Veterano delle guerre contro i talebani, McChrystal ora tiene lezioni di leadership alle grandi corporation. Qualcosa che per Db somiglia a un corso di sopravvivenza in situazioni estreme: Cyran ha 12 mesi – a fianco dello storico ceo tedesco Jürgen Fitschen che lascerà a maggio – per cambiare il modello di business basato su finanziarizzazione border line, titoli tossici e maxi-accantonamenti per cause legali.
Ma ancora più deve restituire fiducia ad azionisti e creditori che da inizio 2016 hanno falcidiato di oltre il 40 per cento il valore del titolo (ormai meno di un terzo di quanto iscritto in bilancio), e di oltre il 14 quello delle obbligazioni, dopo che lunedì si è anche diffusa la voce che Db non fosse in grado di rimborsare le prossime cedole, voce smentita per quest’anno. Deutsche Bank, a lungo è prima banca d’Europa, è tra le messe peggio dell’Eurozona per rapporto tra capitale netto e attività (leverage ratio), pari a 4,2 rispetto al 6,8 di Intesa Sanpaolo. Certo, in questi giorni sulle banche fioccano tabelle di ogni tipo, propiziate dall’overdose statistica delle autorità regolatorie europee, e c’è chi tende a dimostrare che la solidità degli istituti italiani è migliore di altri, con spirito di rivalsa verso i tedeschi. La Germania intanto continua a sforare il surplus commerciale (più 6,4 per cento nel 2015) in barba alla Ue, mentre cala a sorpresa la produzione industriale (meno 1,2), l’altra faccia dell’eccesso di export. Resta che Berlino ha quasi azzerato il deficit pubblico, ha ridotto il debito al 70 per cento del pil, il trend di discesa migliore d’Europa, e continua a finanziarsi a costo zero addirittura sulle scadenze trentennali. Eppure la virtù pubblica non corrisponde ai vizi privati; anche Commerzbank è nel mirino, e così come Db ha beneficiato anni fa degli aiuti pubblici che però l’Italia non poteva permettersi. E mentre azionisti e obbligazionisti fuggono da azioni e bond emessi a Francoforte dai banchieri privati – martedì Piazza Affari (meno 3,2 per cento) ha chiuso peggio di Francoforte (meno 1,1), ma Db ha chiuso ancora peggio a meno 4,3 – i soldi invece corrono in direzione opposta sempre a Francoforte, verso i Bund dei banchieri pubblici della Bundesbank: tornati meta del “flight to quality”, il rifugio sicuro che riporta a livelli critici Lady Spread. Eppure la Deutsche Bank è per definizione la banca di sistema della Germania, ha comprato partecipazioni in Cina e nel mondo per sostenere le esportazioni, ha come primo azionista il fondo del Qatar, fa lobbying abituale e scoperto con la Commissione di Jean-Claude Juncker. I rumors di una nuova Lehman Brothers sembrano inconcepibili. Ma a ben guardare quando la Federal Reserve di Ben Bernanke stampò 1.200 miliardi di dollari per salvare i colossi americani, e contemporaneamente il Tesoro con voto bipartisan del Congresso ne impiegava altri 700 per il piano Tarp (Trouble asset relief program) rastrellando mutui a rischio, il sistema più liberista del mondo mise in riga i capi di Wall Street e il loro business.
[**Video_box_2**]Un intervento empirico e senza troppi orpelli regolatori, che evitò il peggio, riavviò l’economia e recuperò i soldi dei contribuenti. All’Europa dei decimali e dei parametri manca tuttora il tassello fondamentale per la credibilità dell’unione bancaria, l’assicurazione sui depositi, “il che” nota il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan “è una questione di fiducia per la Banca centrale europea”. Agli occhi dei mercati, almeno tanto quanto il debito pubblico italiano che deve iniziare a scendere. (r.ros.)